di Giuliano Pennacchio
A Napoli, nella sede del Dopolavoro Ferroviario, nei pressi della stazione FS di Napoli Centrale qualche giorno fa si è svolta un’assemblea auto - convocata di ferrovieri. Una discussione difficile, ma appassionata. I macchinisti, i capo treno, i manovratori, hanno chiamato a raccolta la sinistra in un confronto sulle condizioni di lavoro.
La discussione si è resa necessaria a causa del combinato disposto degli effetti nefasti del ‘DDL Lavoro’ della Fornero e della riforma delle pensioni. A questo quadro a tinte fosche vanno aggiunte le prescrizioni di una direttiva europea del 2007/59/CE del 23/10/2007 (recepita con il decreto 247 del 30/12/2010) relativa alla certificazione dei macchinisti addetti alla guida di locomotori e treni nel sistema ferroviario. La norma comunitaria apre il mercato europeo ai macchinisti, che sono equiparati a semplici conducenti, senza tener conto delle grandi responsabilità che il loro ruolo racchiude.
Il decreto 247/2010 vincola, al raggiungimento del limite anagrafico dei 55 anni, l’obbligo alle imprese di trasporto di sottoporre ai macchinisti a controlli medici annuali che comprendono una visita psicotecnica e controllo psicoattitudinale. Alcuni studi statistici, d’altro canto, prevedono un incremento d’inidoneità dovuto anche ad un fatto fisiologico (aumento dell’età pensionabile) oltre che dallo “stress da lavoro correlato”, visti i ritmi di lavoro aumentati in modo considerevole. C’è da considerare, inoltre, l’aspetto dell’agente unico, che da giugno 2009 ha radicalmente cambiato il modulo di condotta per il macchinista e la mansione lavorativa per il capotreno.
Questo nuovo modello di lavoro inciderà pesantemente sulla salute dei macchinisti, come già è successo per i macchinisti francesi che per primi hanno lavorato col modulo agente unico. Molti ferrovieri francesi, infatti, hanno dovuto affrontare problemi di alcolismo, depressione e si sono verificati, tra di loro, molti casi di suicidio. Uno studio italiano di qualche anno fa e commissionato dalla rivista “Ancora in Marcia”, stabiliva che l’età media dei macchinisti era di 64 anni. Si intuirebbe, quindi, come ai macchinisti sia di fatto negato il diritto alla pensione.
Il tema delle patenti dei macchinisti, quello della sicurezza sui treni e della tutela della salute dei lavoratori, insieme al permanere di un differente trattamento pensionistico tra due comparti affini (i lavoratori dell’auto-ferro vanno in pensione a 60 anni più uno, mentre quelli ferroviario lasciano il lavoro a 67 anni), rappresentano le ‘grandi questioni‘ del trasporto su ferro.
I ferrovieri autoconvocati di Napoli lanciano la mobilitazione con un ‘ispirazione che vuole rilanciare ‘la dottrina della solidarietà e combattere la cultura dell’individualismo’; i lavoratori chiedono impegno ed attenzione alle forze politiche di sinistra del Paese.