di Cinzia Sciuto
Diciamolo chiaramente: di questo parere del Comitato nazionale di Bioetica sull'obiezione di coscienza non se ne sentiva proprio il bisogno. In un paese in cui la quasi totalità dei ginecologi si rifiuta di compiere interruzioni di gravidanza proprio dichiarandosi obiettore di coscienza, e in cui a causa di questi numeri abnormi sta diventando praticamente impossibile abortire in molte strutture pubbliche, il Cnb – organo consultivo del governo – pubblica un parere (approvato con il solo voto contrario e motivato di Carlo Flamigni) in cui difende a spada tratta l'obiezione di coscienza, conferendole il rango di diritto costituzionale. Di più: definendola addirittura un baluardo della democrazia a presidio dei “diritti inviolabili dell'uomo”.
Andiamo con ordine. Il parere pubblicato dal Cnb decide di occuparsi della questione dell'obiezione di coscienza in generale, non con riferimento specifico all'interruzione di gravidanza. L'obiettivo del Comitato è quello di fornire un quadro etico-giuridico che possa essere utile alla regolamentazione dell'obiezione di coscienza.
E i princìpi ribaditi nel documento si possono così riassumere:
a) l'obiezione di coscienza è un diritto costituzionalmente fondato (il riferimento è agli articoli 2,3,10,19 e 21 della Costituzione);
b) “la liberta` di coscienza da sola non e` sufficiente a fondare l’obiezione di coscienza secundum legem ma dev'essere integrata dal valore richiamato dall’obiettore” perché “quando la legge interviene sulla tutela di un bene fondamentale come la vita o la salute (...), il valore richiamato dal medico obiettore rappresenta una diversa interpretazione del valore protetto dalla Costituzione”.
Dunque, l'obiezione di coscienza “legittima”, o secundum legem, per usare le parole del documento, secondo il Cnb non è determinata dal semplice, arbitrario e soggettivo richiamo alla propria coscienza, ma deve avere anche un “contenuto” che faccia riferimento ai diritti inviolabili dell'uomo, che l'obiettore ritiene essere messi in discussione dalla legge alla quale obietta. L'obiezione di coscienza è infatti definita dal Comitato come “la pretesa del singolo di essere esonerato da un obbligo giuridico, perche´ egli ritiene che tale obbligo sia in contrasto con un comando proveniente dalla propria coscienza e sia inoltre lesivo di un diritto fondamentale rilevante in ambito bioetico e biogiuridico”. La combinazione di questi due elementi, per un verso, delimita l'ambito di applicazione dell'obiezione di coscienza – non potendosi qualificare come tale qualunque rifiuto arbitrario in materie che non implichino il riferimento a “diritti fondamentali” – ma contemporaneamente fornisce agli obiettori una formidabile giustificazione etica alla loro scelta.
E inoltre implicitamente afferma che le leggi in cui la questione dell'obiezione di coscienza assume una certa rilevanza – come quelle sull'interruzione di gravidanza o sulla procreazione medicalmente assistita – mettono in discussione dei “diritti fondamentali” che la clausola dell'obiezione di coscienza è chiamata a tutelare. Non è un caso, infatti, che in riferimento all'obiezione di coscienza il documento richiami continuamente i concetti di “diritti fondamentali”, “diritti inviolabili dell'uomo”, “diritti costituzionali”, mentre a proposito delle leggi verso le quali l'obiezione è sollevata si parli esclusivamente di “principio di legalità”, senza mai, per esempio, un riferimento al diritto alla salute delle donne – questo sì effettivamente “diritto umano inviolabile” - che è il cuore della legge 194.
Il parere del comitato cade poi in continue ambiguità, e talvolta in vere e proprie contraddizioni. Nel tentare di difendere l'autonomia sia dei singoli medici che della categoria professionale nel suo complesso, il Cnb propone in un esempio paradossale: “Un'eventuale legge che obbligasse il medico a somministrare una emotrasfusione nonostante il rifiuto del paziente maggiorenne e consapevole (ad esempio testimone di Geova) – si legge nel documento - imporrebbe un'idea eteronoma della professione come attivita` di esecuzione di prestazioni obbligatorie anche per chi le riceve, anziche´ di prestazioni offerte a persone libere”. Ma qui siamo in presenza di un paziente che rifiuta una cura! L'esempio calzante sarebbe stato quello di un medico testimone di Geova che si rifiuta di fare una trasfusione di sangue su un paziente che ne ha bisogno (e che la consenta). Ossia – in analogia con il più classico caso dell'obiettore di coscienza sull'aborto – l'esempio di un medico che, in nome delle sue convinzioni etiche e religiose, si rifiuta di prestare un servizio previsto dalla sua professione.
Il documento è tutto teso a creare la cornice etico-giuridica per un'obiezione di coscienza costituzionalmente fondata e perfettamente coerente con l'ordinamento giuridico e per fare questo (e anche forse per riuscire ad ottenere una larghissima maggioranza) ribadisce più volte che questo istituto non può diventare un'arma di sabotaggio delle leggi dello Stato. Per questo, nelle conclusioni, il Cnb afferma che “nel riconoscere la tutela dell'obiezione di coscienza nelle ipotesi in cui viene in considerazione in bioetica, la legge deve prevedere misure adeguate a garantire l'erogazione dei servizi, eventualmente individuando un responsabile degli stessi” ed esplicitamente raccomanda “la predisposizione di un'organizzazione delle mansioni e del reclutamento, negli ambiti della bioetica in cui l'obiezione di coscienza viene esercitata, che puo` prevedere forme di mobilita` del personale e di reclutamento differenziato atti a equilibrare, sulla base dei dati disponibili, il numero degli obiettori e dei non obiettori”. Ma è proprio l'ordine del ragionamento a essere capovolto: è la tutela dell'obiezione di coscienza come diritto fondamentale della persona il punto di partenza.
E forse non è un caso che questo parere, che non è stato richiesto dal governo né dal parlamento, ma è un'iniziativa autonoma del Comitato, esca proprio a pochi mesi dall'inizio di una mobilitazione dei medici non obiettori. Con le iniziative della Laiga prima e con la campagna “Il buon medico non obietta” dopo, i non obiettori avevano cominciato ad alzare la testa e a ribadire con forza e orgoglio la propria professionalità, denunciando un fenomeno che sta di fatto rendendo inoperativa la 194. La controffensiva è cominciata.