120925fiatdi Vladimiro Giacché
Quanto all’individuazione di proposte concrete per affrontare la crisi della Fiat, il comunicato congiunto emesso al termine dell’incontro di sabato tra Fiat e governo è a dir poco deludente.
E tuttavia quel comunicato contiene diverse informazioni importanti. La prima è che Marchionne non garantisce nulla. Certo, “i vertici Fiat hanno manifestato l’impegno a salvaguardare la presenza industriale del gruppo in Italia”. Ma non si dice se questo varrà per tutti gli impianti oppure no.
Il modo con cui si vuole salvaguardare questa presenza è poi quanto meno curioso. “Fiat - si legge nel comunicato - è intenzionata a orientare il proprio modello di business in Italia in una logica che privilegi l’export, in particolare extraeuropeo”. Qui le cose da notare sono diverse. In primo luogo, viene confermato l’abbandono del mercato domestico. La motivazione ufficiale è che in Italia e in Europa la domanda è debole. Ma le quote di mercato che Fiat sta perdendo in Europa sono maggiori di quelle perse dai concorrenti: il problema principale non è quindi la debolezza della domanda, ma la carente qualità del prodotto. Inoltre, quali sono i mercati extraeuropei a cui si fa riferimento? Certamente non la Cina, dove la Fiat non è presente.

Non il Brasile, perché le autovetture Fiat che si vendono da quelle parti sono prodotte in loco. Quanto agli Stati Uniti, gioverà ricordare che il piano 2010, che prevedeva l’esportazione di oltre 100 mila autovetture verso gli USA, è stato completamente disatteso.
Ancora: la Fiat ha manifestato “piena disponibilità a valorizzare le competenze e le professionalità peculiari delle proprie strutture italiane, quali ad esempio l’attività di ricerca e innovazione”. Questo ovviamente presuppone l’effettuazione di investimenti adeguati. Ma al riguardo la Fiat si limita a confermare “la strategia dell’azienda a investire in Italia, nel momento idoneo, nello sviluppo di nuovi prodotti per approfittare pienamente della ripresa del mercato europeo”. La formulazione “nel momento idoneo” significa: “non ora”. Ma se, come lo stesso Marchionne ha affermato, la ripresa comincerà nel 2014, il momento giusto per investire sarebbe adesso. Altrimenti della ripresa beneficerà qualcun altro.
Alla luce di questo scenario, ben diverso da quello propagandato con Fabbrica Italia, che prevedeva addirittura un inverosimile raddoppio della produzione, nell’incontro si è deciso di iniziare “un lavoro congiunto utile a determinare requisiti e condizioni per il rafforzamento della capacità competitiva dell’azienda”. In tale sede la richiesta più probabile da parte di Fiat sarà l’utilizzo della cassa integrazione in deroga, quando, nel 2013, si arriverà alla scadenza della cassa integrazione straordinaria. Insomma, altri soldi pubblici (la cassa integrazione in deroga è pagata dalla fiscalità generale, ossia con le nostre tasse).
Tutt’altro che chiaro, invece, l’orientamento del governo. Anche qui, però, qualche notizia c’è. In primo luogo, l’incontro stesso di sabato è una sconfessione di fatto dell’affermazione di Monti del marzo scorso, secondo cui “chi gestisce la Fiat ha il diritto e il dovere di scegliere per i suoi investimenti le localizzazioni più convenienti e non ha nessun dovere di ricordarsi solo dell’Italia”. Rispetto al disastro sociale e industriale che si profila, ora il governo ha deciso di intervenire. Scoprendo – un po’ tardivamente - che tra i suoi compiti non rientra quello di farsi megafono dell’irresponsabilità sociale di un’impresa che dallo Stato italiano ha ricevuto 7,6 miliardi di euro in 30 anni, ma piuttosto quello di impedire che un pezzo importante dell’industria italiana scompaia. E forse prendendo coscienza anche del fatto che la campagna di Marchionne contro la FIOM e i diritti sindacali, accusati di essere il freno alla ripresa della Fiat, era pretestuosa, e che comunque appoggiarla non ha minimamente contribuito a risolvere i problemi della Fiat.
Gli strumenti ora a disposizione del governo sono diversi. Si tratta di scegliere quelli giusti. Sarebbe un errore dare alla Fiat incentivi per non produrre, quali la cassa integrazione in deroga. Molto meglio, ad esempio, incentivare fiscalmente gli investimenti in ricerca e sviluppo tecnologico. Più difficile (a causa dei vincoli europei e WTO), ma non impossibile, trovare misure per agevolare le esportazioni. L’esperienza passata però insegna che tutto questo deve essere subordinato ad accordi ed impegni chiari assunti dalla Fiat. Che per ora non ci sono.
In assenza di questi impegni, gli sforzi del governo dovrebbero dirigersi in una direzione diversa: operare attivamente affinché imprese estere rilevino gli stabilimenti automobilistici Fiat che l’azienda (ormai italiana e torinese solo nel nome) sta lasciando inattivi, e si appresta a chiudere. Sapendo che in un caso come questo la variabile tempo è una variabile critica. Detto in parole povere: che non c’è altro tempo da perdere.

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