120926fdsdi Raffaele K. Salinari
L'intervista di Massimo Rossi su il manifesto di mercoledì 19, attraversa tutte le contraddizioni culturali e politiche dell'area che vorrebbe costruire l'alternativa alla linea liberista oggi rappresentata dal sostegno bipartisan al Governo Monti. Il punto centrale della riflessione di Rossi è quello del come portare a sintesi politica le diverse sensibilità che compongono oggi la Federazione della sinistra. Date le scadenze imminenti è bene fare chiarezza sui nodi da sciogliere al suo interno e che, purtroppo, non sono affatto nuovi ma rappresentano drammaticamente il forte ritardo accumulato verso gli obiettivi sui quali era stata fondata quest'aggregazione politica. Quali erano questi obiettivi, e a quali problemi irrisolti oggi corrispondono? Il primo era il creare tra forze politiche di storia comunista, il Prc ed il Pdci, una confluenza che invertisse la tendenza storica alla divisione.

Una prospettiva decisamente interessante ma che troppo spesso è stata assunta, da parte di alcuni in entrambi i partiti, come orizzonte generale ed esaustivo della Fds, sintetizzabile nella formula «unità dei comunisti», cioè della fusione tra i due partiti, strumento certo importante, ma decisamente parziale rispetto alla prospettiva generale. Se può esistere nella realtà odierna italiana un'unità dei comunisti, certo essa va ricompresa nella Fds e non deve rappresentare una prospettiva a se stante, escludente. Continuare a proporre esclusivamente questa strada crea tensioni inutili e false scorciatoie che eludono il problema centrale di una ricomposizione necessariamente originale tra forze consonanti. Il secondo obiettivo era quello di far confluire aree politiche di altra provenienza, a partire da quelle d'ispirazione sindacale e socialista, che poi si sono fuse insieme sino a dar vita al Movimento verso il partito del lavoro di Salvi e Patta. La presenza di questa componente, con una cultura politica complementare a quella dei due partiti comunisti, «apriva» al terzo obiettivo, a mio avviso il più importante per allargare l'orizzonte politico della Fds: chiamare al suo interno, con parità d'interlocuzione politica e culturale, coloro i quali, provenendo da storie non necessariamente di partito e non appartenenti alla tradizione comunista, ma con esperienza nei movimenti, nella costruzione di esperienze concrete di «altri mondi possibili», si fossero aggregati all'interno di un progetto federale. In questa prospettiva il termine «Federazione» indicava dunque non solo una modalità organizzativa, ma la maniera di stabilire un patto tra componenti e quindi gestire le dinamiche di un confronto orientato alla necessità della confluenza tra diversità. A quest'obiettivo, sostenuto da un'analisi antiliberista e dall'esperienza positiva di tante pratiche locali e di movimento, propedeutico alla creazione di un campo di forze che attraesse, come un magnete centrale, la limatura della sinistra diffusa e di alternativa ancora senza una casa comune, si è voluto, in sede di Congresso fondativo, per riflessi identitari anacronistici, dare da subito un recinto più angusto, escludendo dalla costituency della FdS le culture libertarie, che com'è noto rappresentano grande parte dell'humus politico dei movimenti altermondialisti, in America latina, e non solo. A questo primo vulnus si è poi aggiunto lo schema fattuale della dialettica previa tra le segreterie dei due «azionisti di maggioranza» Prc e Pdci e solo come risultante di queste discussioni e connaturati compromessi, il passaggio attraverso il Consiglio nazionale, organo politico unitario della Fds. Anche il tesseramento diretto, che pure esiste, e si potrebbe facilmente quantificare ma soprattutto promuovere se ci fosse la volontà politica di farlo, è stato subordinato ai tesseramenti alle singole componenti, di fatto lasciando, la «pattuglia dei senza tessera» cioè degli iscritti direttamente alla FdS, senza un progetto condiviso dal punto di vista dell'ulteriore aggregazione. Ora tutti questi nodi interni, e non solo le diverse sensibilità in ordine all'interlocuzione sui contenuti col Pd, Sel, l'Idv ed i Verdi, che comunque servono ad aprire ulteriori contraddizioni all'interno dei vari continuismi di centro sinistra, vengono al pettine e vanno sciolti nel senso di un'accelerazione delle ragioni originariamente fondative della Fds, sulla spinta dell'orizzonte politico che ci si prepara per i prossimi anni condizionati dal patto di stabilità e dalla spending review. Il fallimento della «convergenza tra le diversità» la scommessa politica ed organizzativa sulla quale molti hanno gettato, ancora una volta, coraggiosamente il cuore oltre l'ostacolo delle divisioni, delle «differenze antropologiche tra comunisti e non» delle gelosie di apparato, non avrà altre possibilità. Ecco perché la proposta di Massimo Rossi, di un referendum tra gli iscritti, non solo serve a chiarire la linea unitaria e le alleanze possibili, ma a fare chiarezza sul funzionamento interno di una Federazione che deve finalmente essere ciò per cui è nata.

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