sanitdi Roberto Gramiccia
E’ con grande piacere che ho accolto la proposta che mi è stata fatta di assumere, entro il Dipartimento del Welfare, la responsabilità nazionale della Sanità. Si tratta di un impegno di cui avverto tutto il peso e l’importanza ma che penso di poter assolvere, principalmente, grazie alla lunga esperienza maturata nella mia carriera di medico. E’ proprio questa esperienza che mi ha fatto conoscere e sperimentare pressoché tutti i gangli della Sanità pubblica: dalle corsie ospedaliere, al territorio, all’assistenza domiciliare, fino alla direzione per più di dieci anni di una struttura sanitaria complessa.
Forse alcuni di voi mi conoscono per quel po’ di competenza dimostrata e per la grande passione per le arti visive che ho riversato sulle pagine di «Liberazione».

Non sembri strano questo connubio visto che  non ho mai considerato la pratica della medicina né una semplice tecnica, né tanto meno una scienza algida da praticare nel chiuso di laboratori asettici e impersonali ma, piuttosto, un’arte applicata, un’arte sanitaria appunto come per decenni è stata definita nei trattati di storia della medicina che – avendo a che fare con l’uomo e con la sua salute - pur essendo intrisa di scienza e di tecnica, conserva (o dovrebbe conservare) una natura di disciplina essenzialmente umanistica.
Il discorso sarebbe lungo e complesso e non mancheranno le occasioni per farlo. In questa circostanza basterà dire che una delle cause non secondarie della crisi della nostra Sanità è proprio lo snaturamento subito dalla medicina pubblica che da dottrina umanistica e olistica si è trasformata in un insieme tecnocratico di norme e di procedure al servizio del mercato, del potere politico e - duole dirlo - anche della criminalità che vi affonda fauci avide e corruttrici.
D’altra parte non può sfuggire il grande valore della Sanità nel novero dei più fondativi e insopprimibili beni comuni. La salute pubblica è forse il principale bene comune e, semmai, sorprende il ritardo della Sinistra nel suo complesso nel difendere la sua accezione universalistica (quella sancita dalla nostra Costituzione e dalla 833). Un ritardo non dimostrato, ad esempio, nella difesa dell’acqua bene comune, con i risultati che conosciamo. Non mi pare difficile convenire sul fatto che la Sanità pubblica non è meno importante dell’acqua e non è meno in pericolo di quanto non fosse l’acqua, per cui sarebbe lecito aspettarsi, per difenderne la natura pubblica, una mobilitazione analoga a quella che portò alla vittoria referendaria. Ebbene, questa mobilitazione manca ed è compito nostro capire perché.
Non va sottaciuto, inoltre, che la difesa di questo bene primario può sollecitare schieramenti vasti e combattivi, se solo ci si impegni a denunciare i pericoli mortali indotti dal generale processo di smantellamento del pubblico a cui stiamo assistendo da anni. Nel senso comune, infatti, è sufficientemente diffusa l’idea che la buona Sanità non può che essere pubblica ed è facendo leva su questa, alimentandola e rafforzandola, che potremmo creare un grande schieramento del quale metterci alla testa, viste le posizioni neoliberiste espresse dal Pd su questa come su tante altre questioni. Una prospettiva impegnativa e interessante, quindi, per il valore della questione in sé e per la possibilità che ci fornisce di ri-cominciare a fare egemonia (provarci almeno, senza ovviamente dimenticare i nostri limiti).
Ad aiutarci in questa prospettiva è il totale fallimento dimostrato dal processo di aziendalizzazione imposto negli anni Novanta dai decreti 502, 517 e 229. L’insieme dei provvedimenti avviati da questi decreti non ha fatto altro che mercificare la salute per raggiungere l’obiettivo agognato del pareggio di bilancio. Ora, a parte il fatto che la salute non può essere considerata una merce, invece che il pareggio di bilancio si è ottenuto un crack economico di proporzioni spaventose che ha imposto in molte regioni  piani di rientro lacrime e sangue. Questi piani, semplicemente, stanno strangolando la Sanità pubblica che appare ormai boccheggiante. Un fallimento totale del quale i teorici del neoliberismo mercatista dovranno un giorno finalmente darci conto.
Politicizzazione esasperata nella selezione dei direttori generali che hanno assunto il potere di monarchi assoluti, al di fuori di qualsiasi controllo che non sia quello dei governatori; assoluta discrezionalità nella gestione delicatissima degli accreditamenti; affossamento definitivo della Sanità territoriale; depotenziamento dei dipartimenti di prevenzione e abbandono della prospettiva stessa della prevenzione; fallimento completo dei Drg, come regolatori di spesa ospedaliera; prolungamento scandaloso delle liste di attesa facilitato dalla pratica iniqua dell’intramoenia che, invece di rimuoverli, riproduce e amplifica i ritardi e le disfunzioni; taglio dei posti letto ospedalieri in assenza di qualsiasi rafforzamento del territorio che, al contrario, viene sistematicamente depredato; pessima gestione del problema colossale della cronicità che invece di essere combattuta viene obiettivamente alimentata per foraggiare l’enorme business che vi ruota attorno; deriva funzionale dell’attività dei medici di medicina generale che seguono il destino dei Distretti sanitari, questi ultimi dovrebbero essere il teatro delle cure primarie e invece stanno diventando la scena di un delitto, quello perpetrato nei confronti della Sanità pubblica: sono queste le questioni di fondo.
Su questo scenario disastrato si abbatte la scure dei tagli: 20 miliardi nei prossimi tre anni, mentre le cliniche private hanno guadagnato negli ultimi dieci anni il 25,5% in più del passato e nove milioni di persone hanno smesso di curarsi perché non più in grado di sostenerne la spesa (dati Censis). Su tutta questa complessa materia dovrà esercitarsi la nostra capacità di analisi e di proposta, superando visioni settoriali e puramente “sindacali” per procedere a una contestazione complessiva e argomentata.
Una contestazione capace di smascherare definitivamente l’intenzione di smantellare la Sanità pubblica, consegnandola al privato e magari risuscitando lo spettro delle mutue corporative del passato attraverso dosi crescenti e progressive di interventi cosiddetti integrativi, che finirebbero per uccidere definitivamente quel che resta della natura universalistica del nostro sistema.
Non può sfuggire, evidentemente, che l’attacco alla Sanità pubblica è la punta di diamante di un più generale attacco al Welfare e che la crisi rappresenta un elemento di accelerazione e anche un formidabile alibi per portarlo sino alle estreme conseguenze. E’ per questo che mentre ci si batte per la difesa dell’art. 18 e per abolire l’articolo 8, si dovrebbe pensare anche a difendere l’asse portante del nostro stato sociale, quello che fino a poco tempo fa molti ci invidiavano: il nostro SSN appunto.
La necessità di questo impegno è resa, se possibile, ancora più forte da quanto emerso in questi giorni dalle notizie relative al decreto Balduzzi. Questo decreto, infatti, a parte i diversivi sulle bibite gassate, il fumo e il gioco d’azzardo, solleva con una spregiudicatezza, che oscilla fra la cialtroneria e il disprezzo per l’intelligenza di chi ascolta, una cortina fumogena demagogica e propagandistica che serve a mascherare le vere intenzioni di un governo al servizio delle banche e del capitale privato. Come giudicare altrimenti il proponimento agitato di rifondare il territorio, dimenticando del tutto i Distretti sociosanitari che della Sanità territoriale dovrebbero essere il fulcro, facendoci credere che i medici di medicina generale, come per incanto, si assoceranno in studi insieme a specialisti e a supporti infermieristici che consentiranno, 24 ore su 24, di sopperire a larga parte della domanda sanitaria, decongestionando (udite udite!) gli ospedali ?
Ora. a parte il fatto che l’idea è molto discutibile in sé. Anche volendo tralasciare le obiezioni di merito, come pensa Balduzzi, visto che il decreto non “obbliga” ma “permette” ai medici di associarsi (cosa che – forse il ministro lo ignora – è già ora possibile), di ottenere la disponibilità a costo zero di un numero così grande di medici, , infermieri e amministrativi (e di edifici) come quello che sarebbe necessario per realizzare questo strampalato progetto? Senza considerare che i medici sono dei liberi professionisti e non dei dipendenti e il loro contratto non consente di disporre di loro a piacimento in quanto a orari ed a scelte logistiche.
Si tratta di nodi già emersi che hanno  ferocemente contrapposto i principali sindacati medici alla Consulta delle Regioni. Quesst’ultima ha ribadito la assoluta impossibilità di spendere anche solo un euro per questo progetto. Perché allora agitare una possibilità che si sa  essere inutile e irrealizzabile? E’ semplice: per confondere le idee della gente, scippargli il pezzo più pregiato del Welfare e prepararsi alle prossime elezioni, confidando nella inadeguatezza di un’opposizione che in larga misura non esiste o non esiste ancora.
Le altre misure sulla nomine dei direttori generali e sull’intramoenia non spostano di una virgola l’attuale situazione che vede i primi strumenti docili della politica locale e la seconda un sistema per risparmiare sullo stipendio degli ospedalieri, consentendo loro di fare affari per conto del pubblico. Ma su questo – come anche su tutto il resto – mi  riservo di ritornare con tutta la precisione polemica ma anche propositiva del caso. In questo senso, mentre ringrazio per la fiducia accordatami, mi metto a disposizione di tutti coloro che vogliano contattarmi per fornire notizie, esprimere e chiedere opinioni utili alla creazione di  feedback e sinergie utili alla nostra comune lotta. Quella della Sanità è una questione cruciale, insieme politica e culturale, che ci obbliga a un’attenzione particolare. Io penso che questa attenzione non debba essere inferiore a quella da noi giustamente prestata al lavoro. Lavoro, stato sociale e democrazia sono, infatti, i tre pilastri programmatici sui quali poggia l’ipotesi del nostro rilancio.

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