monti confindustriadi Luca Telese
Nel giorno in cui gli statali invadono Roma, il più antistatale dei premier che abbiano abitato Palazzo Chigi (in questa vocazione batte anche Silvio Berlusconi) spiega che al monotono posto fisso da premier lui in fondo ci si sta abituando: «Non mi presenterò alle elezioni - spiega infatti Mario Monti - non ce n’è bisogno perché sono senatore a vita». Poi il presidente ha fatto cadere con sapienza le parole che segneranno la campagna elettorale, i posizionamenti di facciata e quelli veri, il sentiero tortuoso della campagna elettorale: «Non mi presenterò - aggiunge - ma sarò là e, se si creeranno le circostanze per cui potrò dare un aiuto dopo le elezioni, non precludo nulla».
Mica male per il professore compassato che nella sala multimediale della presidenza del Consiglio, nel dicembre scorso, irrideva la politica, ripeteva a nastro di non essere interessato a tornare presidente del Consiglio, spiegava che non avrebbe mai preso parte a una campagna elettorale.

Che questo fosse impossibile, ovviamente, lo spiegava la nomina vitalizia a Palazzo Madama che aveva inaugurato, come un battesimo, la sua carriera di governo. Ma che tutte queste precauzioni cadano proprio ora, per lanciare un messaggio tutto diverso, ed aprire la campagna non più occulta per il Monti-bis non è certo un caso. Certo, resta, anche questa volta, la battuta cerchiobottista, l’eterna foglia di fico della professorale lingua montiana: «Nel caso di circostanze particolari, che spero non si verificheranno
- dice infatti il premier - potrebbero chiedermi di tornare. Potrei considerare questa ipotesi, ma spero di no». Ma la partita è aperta. Non è nemmeno un caso che queste parole vengano pronunciate nel giorno in cui Napolitano delude le aspettative di chi, come Eugenio Scalfari, sognava un suo ritorno sul Colle. Monti ieri ha spiegato a tutti i leader politici che adesso non si gioca più, e che il partito del governissimo è pronto a combattere. Non c’è dubbio che i primi destinatari di queste parole siano Nichi Vendola e Pierluigi Bersani, ovvero il leader che gli è più vicino in queste ore nel tentativo di costruire una alternativa nella politica. Il partito del Monti-bis può contare su ciò che resta del Terzo Polo (poco nell’elettorato, molto nel Palazzo, può contare sul suo principale alabardiere (Pierferdinando Casini), può fare perno su di un pezzo di Partito democratico (quello che io chiamo “il partito del Letta-Letta”), può contare sulla sponda di Matteo Renzi (che quando si tratta dei tecnici mette improvvisamente a tacere la sua adamantina passione di rottamatore, può contare sull’acquiescenza crepuscolare di Silvio Berlusconi, che è pronto ad accoccolarsi nel montismo con il suo pacchetto di controllo, qualora dovesse essere sconfitto nella campagna elettorale. L’ultimo tassello di questo pasticcio istituzionale, di cui Monti è la valvola di garanzia, è la legge elettorale: perché il governissimo diventi necessario, è importante che dalle urne non possa uscire nessun vincitore. Ed è per questo che il partito trasversale dei centristi è all ’opera per demolire il vincolo di coalizione (che era una delle poche cose buone del porcellum) e, ovviamente, il premio di maggioranza, persino quello alla lista vincente. Ciò di cui Monti ha bisogno, per tornare premier, è una bella legge greca, che garantisca l’ingo - vernabilità, camuffata sotto la definizione pudica di sistema elettorale tedesco. Monti sceglie di girare le sue carte, nel corso di un incontro a New York al Council on Foreign Relations, a margine dell’Assemblea generale dell’Onu, e forse non è un caso nemmeno questo.
Monti ha bisogno della legittimazione dell ’opinione pubblica internazionale per superare le sue difficoltà interne, ha bisogno della grazia di Stato per commissariare la politica nazionale, ha bisogno di un movimento di opinione ben orchestrato per mascherare la sua crisi di consenso. I grandi dati economici sono contro di lui. Le riforme votate dal suo governo sono contestate ovunque, la cura tagli& tasse ha prodotto recessione. La produzione industriale sta crollando, il siderurgico è in crisi, il minerario pure, la Fiat fugge dall ’Italia senza che il governo riesca a farsi dare risposte chiare, la chimica è stata appena smantellata, il debito aumenta, e il calo del Pil è già cinque volte superiore alle cifre che il governo annunciava ottimisticamente nei suoi documenti di programmazione economica. Il Paese è stato piegato da cinque finanziarie (occulte e non) in cinque mesi, eppure qualcuno si ostina a dire - persino a sinistra - che l’agenda Monti dovrebbe essere il programma di un nuovo governo. È curioso che l’auto - candidatura commissariale di Monti arrivi negli stessi giorni in cui in Francia il governo nominato da François Hollande impone ai più ricchi una finanziaria progressiva per rimettere in piedi i conti dello Stato.
In tutta Europa si confrontano soluzioni di destra o di sinistra, che sono sempre legittime, se confortate dal voto degli elettori. In Italia l’idea è che il parere di chi vota debba contare poco o niente, perché il Monti bis dovrebbe essere imposto ai pazienti italiani come un destino ineluttabile. Se Bersani e i socialdemocratici del Pd vogliono sottrarsi a questo tentativo di esonero tecnocratico non hanno nessuna altra scelta: denunciare il carattere politico del progetto neocentrista, e spiegare che l’unico modo per costruire una alternativa di centrosinistra al governo Monti è spiegare quello che tutti gli italiani hanno già capito: le ricette tecnoliberiste dell’ex commissario europeo fanno male al Paese, prima ancora che alla politica.

Pubblico - 28.09.12

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