121010berlusconi montezemolodi Tommaso Labate
Come non era sicuro della nuova discesa in campo, forse non è certo al cento per cento neanche dell’uscita di scena «per riunire i moderati», anticipata da Angelino Alfano ieri l’altro e confermata dal diretto interessato prima in un’intervista a Libero poi nel corso della Telefonata con Maurizio Belpietro su Canale 5. Le uniche certezze di Silvio Berlusconi, in questo momento, riguardano il suo obiettivo finale e la tempistica. L'obiettivo finale è quello che l'ex presidente del Consiglio ha dichiarato implicitamente. E cioè fare di Mario Monti «il leader del moderati» e di conseguenza - è il non detto - riportarlo a Palazzo Chigi senza farlo passare dalle elezioni. La tempistica, invece, è legata a due eventi di cui il Cavaliere ha lungamente parlato anche con Pier Ferdinando Casini, in una serie di colloqui telefonici riservati andati in scena nelle ultime settimane.

«La decisione sul mio futuro», ha spiegato “Silvio ” all'amico ritrovato “Pier ”, «la prenderò solo dopo l'approvazione della legge elettorale. Ma la nuova legge elettorale», ha aggiunto, «arriverà solo a inizio novembre, dopo che si conoscerà l'esito delle elezioni regionali siciliane».
Impossibile sapere quale sia stata la risposta di Casini. Non foss'altro perché, dallo staff del leader dell'Udc, negano (ovviamente) anche che i colloqui in questione. Ma in una storia che presenta più ombre che luci, è dalla war room di Palazzo Grazioli che arrivano i primi punti fermi. Il primo è che Berlusconi è convinto che, nella contesa siciliana di fine ottobre, il candidato del centrodestra Nello Musumeci avrà la meglio su Rosario Crocetta, sostenuto dal blocco Pd-Udc. «Sta già avanti di qualche punto», avrebbe garantito il Cavaliere ad alcuni amici siciliani. La seconda certezza è che, stando a quanto emerge dai sondaggi commissionati dall'ex premier, in ogni caso il centrodestra non avrà la maggioranza nell'Assemblea regionale e quindi sarà costretto a stipulare una «grande coalizione siciliana» coi centristi e con quel pezzo del Pd che rifiuterà il muro contro muro. La terza certezza è che il voto in Sicilia provocherà il divorzio definitivo tra Pd e Udc. La quarta, ai limiti dell'ovvio, è che il cantiere isolano servirà per fare le prove generali di quello che potrebbe accadere in Italia nella primavera prossima. Elezioni senza nessun vincitore, Democratici spaccati, Udc schierata coi moderati, una Grande Coalizione di cui Berlusconi sarebbe uno dei due soci di maggioranza. E, sottinteso, un presidente del Consiglio già definito, alla guida di un governo politico. E cioè Mario Monti. Il Professore, ovviamente, resiste. E, tolta quella frase con cui da Washington si dichiarò disponibile a tornare a servire il Paese, non farà altri passi in avanti. Neanche mezzo. Ma non può essere un caso se il tema del ritorno postelettorale di Monti viene ormai declinato
apertamente anche dai ministri del suo governo. In un'intervista pubblicata sul numero di oggi del settimanale A diretto da Maria Latella, il titolare dell'Agricoltura Mario Catania la mette così: «Io non so quello che riterrà di fare il presidente del Consiglio. Mi pare però un po’ forzata la lettura secondo cui Monti, per tornare a Palazzo Chigi, dovrebbe passare dalle elezioni. Visto che nella Costituzione questo non c'è, dove sta scritto? È un assioma falso. Fatta questa premessa, la domanda è un altra. Dopo il voto ci sarà o no una maggioranza politica che intenda chiedere al presidente della Repubblica la prosecuzione dell'avventura di Monti in persona al governo?». E alla sua stessa domanda retorica Catania risponde senza esitazioni: «Io auspico che ci sia. E che sia coesa. Monti potrebbe essere il presidente del Consiglio di un governo politico, con ministri politici » .
In fondo, è lo schema su cui lavora Berlusconi. Ma come ci si arriva? Sempre che in Sicilia si materializzi quella vittoria di Musumeci che potrebbe far saltare il tappo, a quel punto il Cavaliere passerebbe alla seconda parte del piano. Stringere i bulloni di un accordo Udc, Fli e Lega per portare a casa una riforma elettorale proporzionale, con un premio di maggioranza del 10 per cento per il primo partito e,magari, pure con le preferenze. «Su questo», gli hanno garantito i suoi in uno degli ultimi vertici di Palazzo Grazioli, «alla fine un pezzo del Pd, con la scusa di accantonare il Porcellum, finirebbe per stare con noi». Senza dimenticare che, come gli ha pronosticato Gaetano Quagliariello in camera caritatis, «è sempre possibile che a fornirci un testo-base alla fine sia il governo, che potrebbe tirar fuori un disegno di legge benedetto dal Colle».
Solo dopo l'eventuale vittoria di Musumeci in Sicilia, e con la certezza di avere in tasca una riforma elettorale proporzionale con premio di maggioranza (basso) per il partito, Berlusconi scioglierebbe ogni riserva, spegnerebbe la voglia di primarie che ha contagiato il suo partito, si farebbe da parte e, da ultimo, consegnerebbe la chiave della «casa dei moderati» all'unico nome che ha in mente: quello di Luca Cordero di Montezemolo.
Il leader di Italia Futura, di fronte all'obiettivo comune di lavorare per «il ritorno di Monti», sarebbe già pronto ad accettare. D'altronde basta sentire come una delle sue teste d'uovo, Nicola Rossi, ha commentato la parole con cui Berlusconi ha giurato di volersi fare da parte. «Se confermato sarebbe un grande gesto di responsabilità ». Di fronte al quale, ha aggiunto l'economista, «il mondo dei moderati si troverebbe a ragionare in una situazione diversa e con esiti diversi». E Casini? E i rapporti non certo idilliaci tra «Luca» e «Pier»? Tutto (o quasi) risolto la sera del 29 settembre scorso. Quando i due ex nemici si sono ritrovati nella residenza romana del presidente della Ferrari per discutere della «Lista per l'Italia» e di come avviare un'interlocuzione «con Matteo Renzi». Un politico di lungo corso, amico di entrambi, dietro la garanzia dell'anonimato svela il possibile esito della lunga tela: «Montezemolo farebbe il candidato premier, magari senza neanche candidarsi in Parlamento. Casini coltiverebbe il sogno del Quirinale, con la consapevolezza che l'obiettivo minimo della presidenza del Senato sarebbe già a portata di mano». Il tutto, sottotesto, con Monti di nuovo a Palazzo Chigi. E con Berlusconi che diventerebbe uno dei soci di maggioranza della Grande Coalizione. Che, in fondo, è l'unica speranza che gli rimane.

Pubblico giornale - 10.10.12

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