120801leggeelettoraledi Gianluigi Pegolo
Al di là della sceneggiata sulle preferenze, la nuova legge elettorale in gestazione è condivisa dalle principali forze presenti in Parlamento, dal Pd al PdL, dall’UdC alla Lega. La ragione principale è che questa accontenta un po’ tutti e, anzi, è stata concepita proprio come la risultante di una convergenza d’interessi, niente di più.  In questa proposta non c’è, infatti, alcuna consapevolezza della crisi in cui versa la politica nel paese, né c’è il minimo bilancio delle precedenti esperienze fallimentari (dal “mattarellum” al “porcellum”), né tantomeno si tiene conto di elementari principi costituzionali. Il risultato è un brutto pasticcio, un sistema iniquo e, al tempo stesso, irrazionale, che ha pochi precedenti negli altri paesi, se non alcune somiglianze con la legge elettorale greca.

Il fatto grave è che nell’apatia generale, indotta dall’accrescersi del disagio sociale e  dal montare di un rifiuto per la poliica, non vi è un’apprezzabile reazione nell’opinione pubblica, né tantomeno da parte degli ambienti intellettuali illuminati. Solo poche voci si sono levate in questi giorni per denunciare lo spettacolo avvilente di una legge elettorale concepita come risposta agli interessi contingenti di alcune forze politiche, senza alcuna coerenza con un disegno credibile di adeguamento del sistema istituzionale. Pesa non poco, nella reticenza generale, il calcolo opportunista sulle alleanze future che mette in secondo piano il giudizio di merito. A maggior ragione, quindi,  occorre uscire dal coro ed esprimere una critica mirata.
Due sono gli elementi più inquietanti del sistema in discussione. Il primo è l’introduzione di un premio di maggioranza del tutto sproporzionato nell’entità e totalmente arbitrario. Se, infatti, nell’attuale legge elettorale vige un sistema aberrante che prevede l’attribuzione alla coalizione risultata maggioritaria alla Camera di un premio dilatabile a dismisura, fino al raggiungimento del 55% dei seggi totali, la nuova proposta supera il premio elastico, ma ne prevede comunque uno molto consistente (il 12,5%) attribuito alla stessa coalizione indipendentemente dall’entità dei consensi ottenuti. I rilievi della Corte costituzionale che vincolavano l’attribuzione del premio quantomeno al raggiungimento di una soglia adeguata di voti, sono così completamente disattesi.
A che titolo, infatti,  viene attribuito un premio di maggioranza a una coalizione, a prescindere dalla possibilità concreta che la stessa ottenga una maggioranza sufficiente a governare?   Siamo di fronte così a una doppia beffa. Doppia perché, da un lato, non si garantisce la proporzionalità della rappresentanza rispetto ai voti espressi dai cittadini e, dall’altro, perché questa “distorsione maggioritaria” viene effettuata in nome di un’esigenza di governabilità che comunque non è garantita.  
Il secondo elemento preoccupante è il simmetrico innalzamento delle soglie di sbarramento. Rispetto all’attuale sistema elettorale, infatti, per le forze che fanno parte di una coalizione che raggiunge il 15% dei voti si passa dal 2 al 4% e per le altre  dal 4 al 5%. Quindi, non solo si attribuisce a una coalizione maggioritaria un premio abnorme, ma si taglia la rappresentanza a gran parte delle forze politiche minori, limitandone - ancora più di prima - l’accesso al Parlamento.
Peraltro, questa combinazione fra soglie di sbarramento e premi di maggioranza ha pochi riscontri a livello europeo, se si eccettua per l’appunto il caso greco. Siamo cioè di fronte ad un sistema profondamente antidemocratico la cui ratio sta nel rafforzamento del potere di alcuni partiti, a danno degli altri. Non si tratta di un sistema elettorale finalizzato al conseguimento del bipolarismo (come l’attuale “porcellum”), ma piuttosto alla realizzazione di un assetto pluri-polare, una sorta di “oligopolio politico”, imperniato su tre/quattro soggetti politici centrali (affiancati da 2 o tre scarsamente influenti).
Il meccanismo del premio di maggioranza, infatti, mentre sollecita la polarizzazione intorno al Pd e al PdL, non consentendo  il raggiungimento di una maggioranza certa a nessuno dei due, non pregiudica la possibilità della nascita di un polo centrista. Al tempo stesso la Lega - in virtù di una norma apposita - ottiene comunque la garanzia di una rappresentanza, anche se non raggiunge la prevista soglia di sbarramento nazionale.
Questo è il disegno, ma si tratta di un’operazione dal respiro corto. Qualcuno l’ha definita una “soluzione di transizione”, e perciò intrinsecamente fragile. E, infatti, la ristrutturazione in corso del sistema politico può condurre alla fine a esiti molto diversi, rendendo effimero il meccanismo elettorale individuato. Quel che conta, però, è che nell’immediato esso riduce ancora di più il pluralismo politico, distorce il sistema della rappresentanza premiando indebitamente alcuni soggetti politici, favorisce la polarizzazione intorno alle forze maggiori, con buona pace non solo della democrazia, ma anche della sbandierata volontà di risanamento della politica e delle istituzioni.

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