121105dipietridi Tonino Bucci
La crisi dell'Idv si può raccontare in tanti modi. Si potrebbe iniziare dagli scandali veri o presunti che hanno coinvolto esponenti locali del partito, ultimo fra i quali l'ex capogruppo alla regione Lazio, Vincenzo Maruccio. Nulla di nuovo, si potrebbe commentare. Fin dai tempi di Scilipoti e De Gregorio l'Idv ha sempre manifestato vistose incongruenze nella scelta del proprio personale politico. Certo, nel partito sono transitati personaggi di spicco che oggi giocano un ruolo pesante nella politica italiana. Basta citare i casi del sindaco di Palermo Leoluca Orlando e di quello di Napoli, Luigi De Magistris, quest'ultimo in procinto di lanciare una propria lista alle prossime politiche. Per non parlare di personalità illustri, reclutate in gran parte nell'area culturale della sinistra, dal filosofo Gianni Vattimo allo storico Nicola Tranfaglia.

Eppure l'Idv rimane malgrado tutto un partito fortemente polarizzato accentrato al suo vertice sotto la guida di un leader carismatico come Antonio Di Pietro, ma permeabili nelle sue seconde file a notabili locali e consorterie di potere. Nel partito sono in tanti a invocare il repulisti morale. L'Idv, un tempo punta di diamante nella difesa della legalità e nella lotta alla corruzione, rischia oggi di venire assimilata all'odiata casta agli occhi dell'opinione pubblica. Gli episodi di trasformismo alla Scilipoti, poi l'accusa di peculato al già citato Maruccio, infine l'indice puntato contro lo stesso Di Pietro, additato dalla trasmissione Report come proprietario di oltre cinquanta case acquistate - ça va sans dire - con i denari del finanziamento pubblico. Accuse alle quali lui, Di Pietro, ha ribattuto negli ultimi giorni punto per punto. Quella di Report la definisce un'operazione di «killeraggio politico». «Sul mio conto, anzi sui miei conti, sono state raccontate grandissime e sfacciate bugie. Ma, come ben sappiamo, una bugia ripetuta mille volte, amplificata da giornali e televisioni compiacenti, diventa una verità. E' la legge su cui si basano tutte le campagne di calunnia e di killeraggio politico e nessuno ci andava a nozze quanto Berlusconi. Pare che abbia fatto scuola. A guidarli c'è anche la paura di una possibile alleanza dei non allineati a Monti e al governo della finanza e dei finanzieri». «Ho già iniziato a mettere in Rete una puntigliosa documentazione… Ho messo a disposizione di chiunque i documenti che dimostrano come in quell'agguato travestito da inchiesta siano state fatte passare per mie proprietà marciapiedi, svincoli, strade di accesso e persino giardinetti pubblici». Le ultime smentite di Di Pietro riguardano la presunta volontà di mettere fine all'esistenza dell'Idv per approdare a un'altra formazione in tandem con il M5S di Grillo. Ma la conta e il redde rationem, quello sì, probabilmente ci sarà nel congresso fissato a dicembre. «Io non abbandonerò mai la nave Idv e rimarrò al suo comando fino alla fine», ma «tutti quelli che nell'Idv, fino a oggi, ne hanno approfittato e speravano di poterne approfittare ancora per riciclarsi, con abili manovre di trasformismo politico, fanno bene ad essere preoccupati. Perché sono effettivamente arrivati al capolinea all'interno del partito. E' bene che costoro si preparino a traslocare altrove, giacché il congresso prossimo venturo che ci aspetta non è, né può essere, riservato solo agli amici e agli amici degli amici. Insomma, a coloro che portano un mucchietto di tessere ogni tanto solo per assicurarsi una ricandidatura e una poltrona, sfruttando il lavoro e lo sforzo dei tanti, tantissimi militanti e dirigenti perbene che hanno fatto il loro dovere civico dentro il partito». La crisi dell'Idv però, a volerla raccontare per bene, è una vicenda politica che riguarda - per la precisione - il suo progetto politico.
Le ultime dichiarazioni in ordine di tempo, arrivate ieri sera, sono di nuovo uno sfogo da parte di Di Pietro, quasi un'esplosione di ira. Dai giornali «ho appreso che avrei lasciato al proprio destino l'Italia dei valori per fondare un nuovo partito, di cui addirittura avrei già pronto il simbolo di colore viola che racchiude semplicemente la parola “Basta". Ovviamente io non ne so nulla, come non sapevo nulla delle 56 case che di recente mi hanno falsamente attribuito, pur di farmi passare per palazzina. E mo' basta con tutte queste sciocchezze». «Sono ben conscio che i signori della disinformazione e del killeraggio politico si devono liberare dell'Italia dei valori prima delle prossime elezioni nazionali. Il motivo è semplice e banale: sanno che non siamo disponibili a squallidi inciuci e compromessi inaccettabili e quindi vorrebbero semplicemente evitare che Idv possa tornare ancora una volta in Parlamento. Addirittura stanno arzigogolando una nuova legge elettorale, cucita a misura solo per evitare che Idv, e solo Idv, possa raggiungere il quorum». «Questa non è lotta politica. E' premeditato omicidio politico». «L'Italia dei valori è una formazione politica scomoda alle politiche dell'inciucio», «un nostro forte successo elettorale e la conseguente massiccia nostra presenza in Parlamento, nella prossima legislatura, impedirebbero al centrosinistra di fare alleanze con chi ha fatto comunella in tutti questi anni, prima con il governo Berlusconi e ora con il governo Monti (parlo dell'Udc se non si è capito, la cui missino è stare al governo, non importa se con la destra o con la sinistra purché ci sia una poltrona da spartire». E, in effetti, motivi per rendere negli ultimi tempi l'Idv un partito “scomodo" per il sistema non ne mancano - se non al sistema, all'assetto di potere che esprime il governo Monti. Ce ne sono due che spiccano su tutti gli altri. Il primo è l'aver denunciato i presunti tentativi di insabbiare il processo sulla trattativa Stato-mafia in corso a Palermo - circostanza che, come noto, ha fatto imbestialire il Presidente della Repubblica Napolitano. Il secondo motivo è il sostegno dato da Di Pietro ai referendum sul lavoro, l'uno per ripristinare l'articolo 18 (il diritto alla reintegra del lavoratore ingiustamente licenziato), l'altro per abrogare l'articolo 8 (che attualmente consente di derogare dal contratto collettivo nazionale). A voler fare una sintesi, il ruolo scomodo dell'Idv sta tutto nell'essersi collocata su un fronte contrapposto all'asse Napolitano-Monti. «Noi vogliamo contribuire - ha ribadito ieri Di Pietro - alla costruzione di una coalizione, avente alla base un programma di governo totalmente agli antipodi di quello berlusconiano, che ha usato le istituzioni solo per farsi i fatti e gli affari propri, e anche alternativo al governo Monti, le cui politiche riteniamo essere state inique e fortemente penalizzanti per la classe sociale più debole e onesta del Paese». Su quali alleanze e su quali forze politiche può essere costruita la coalizione evocata da Di Pietro è al momento un'incognita. Chiunque lavori per questa prospettiva rischia di rimanere stritolato tra un centrosinistra accodato alle politiche di Monti e un voto di protesta difficile da intercettare, dal momento che è divenuto monopolio pressoché esclusivo di Grillo.
La vicenda dell'Idv è sintomatica anche della difficoltà di un partito che ha saputo interpretare le dinamiche della seconda Repubblica e che però, nel momento in cui quest'ultima si è dissolta, non riesce a trovare una nuova collocazione. Per un decennio e oltre il partito di Di Pietro ha saputo offrire una risposta al degrado morale della vita pubblica, alla corruzione, al sovversivismo berlusconiano delle istituzioni. Oggi però fatica ad adattarsi a uno scenario post-berlusconiano. Di Pietro ha forse incarnato, soprattutto negli ultimi anni, l'anima più intransigente dell'antiberlusconismo. Venuto meno il suo competitor, con il centrodestra in via di dissoluzione e Berlusconi relegato ai margini della vita politica nazionale, l'Idv deve reinventare il proprio ruolo in una competizione in cui non si tratta più di scegliere tra berlusconismo e antiberlusconismo, ma tra il “montismo" e l'opposizione a Monti. Lo scontro interno all'Idv tra Di Pietro e Donadi - quest'ultimo fautore dell'accordo di governo col centrosinistra - ricalca questo schema politica. L'Idv è un campo aperto di battaglia. Quella che si annuncia come la principale chiave antagonistica della campagna elettorale sarà anche la frontiera che attraverserà l'Idv al suo stesso interno. E' la frontiera che divide e contrappone, da un lato, il fronte delle forze che sostengono attualmente Monti e che, sfumature a parte, si accreditano a governare in futuro l'Italia nel rispetto dei vincoli imposti dall'Ue, dalla Bce e dalla Germania della Merkel; dall'altro, un fronte di partiti e movimenti tra loro eterogenei, legati dall'opposizione a Monti e alle sue politiche economiche. Quest'ultimo fronte rimane diviso al proprio interno da mille e uno motivi, ma raccoglie tutto ciò che in Italia al momento può essere definito voto di protesta (o, almeno, quello che non rifluisce nell'astensionismo). Certo, un fronte variegato, stigmatizzato come populista, demagogico, irrealistico, antieuropeo, antipolitico. Basterebbe però qualche semplice calcolo per rendersi conto che tra i voti persi dai partiti di governo (Pdl, ma a ben vedere anche Pd e Udc), quelli conquistati dal M5S e quelli finiti nell'astensione, esiste nell'opinione pubblica una dimensione della protesta di per sé strutturata e in qualche modo “politicizzata". Definire il voto siciliano espressione di populismo e antipolitica sarebbe un errore madornale, sia da parte di coloro che vedono la protesta come il fumo negli occhi, come una minaccia all'operazione delle classi dirigenti sponsorizzata dal tandem Napolitano-Monti, sia da parte di coloro che quella protesta vorrebbero rappresentare.
Per una somma di circostanze la cifra dominante di questo fronte della protesta - per come si è manifestato nelle ultime consultazioni - è la critica al sistema politico e ai partiti “tradizionali" - il che consente a una forza come il movimento di Grillo di fare la parte del leone. Tuttavia questo fronte della protesta è più variegato di quanto si possa pensare. Oltre al M5S c'è appunto l'Idv, ma anche la sinistra radicale si può ritenere una variante interna della protesta, sia pure incentrata sulla critica economica anziché su quella politica. E poi ci sono i movimenti nati sulla difesa dei beni comuni, sull'acqua pubblica e contro il nucleare, per non dire del ruolo di un sindacato come la Fiom nell'opposizione sociale. Però a dispetto della sua estensione il fronte protestatario e anti-Monti è, per proprie caratteristiche, incomponibile al suo interno. Il M5S ha costruito la sua forza d'attrazione proprio sull'indisponibilità ad allearsi con qualsivoglia altro partito. Persino il dialogo che in qualche modo Di Pietro e Grillo - i cui rispettivi elettorati sono parzialmente sovrapponibili - hanno intavolato, prosegue in maniera molto stentata e suscita resistenze tanto nel M5S che nell'Idv. Per non parlare dell'estraneità di linguaggi tra il movimento di Grillo e le forze della sinistra  radicale o tra il M5S e la Fiom. Sui temi del lavoro e della critica dell'economia esiste una distanza misurabile in anni-luce e solo l'ipotizzare, ad esempio, un dialogo tra il M5S e forze come la Fds è oggi niente più che fantapolitica.
La lacerazione nell'Idv è anche dovuta alla consapevolezza che - qualora si scegliesse la seconda via (e Di Pietro, al momento, sembrerebbe propendere per questa) ci si dovrebbe misurare col compito immane di mettere in contatto mondi tra loro incomunicabili. L'alleanza con Grillo al 99 per cento non si farà perché il M5S non vuole allearsi con nessuno. Lo stesso Di Pietro lo ha smentito ieri. «Io e Beppe Grillo, in questi giorni, non ci siamo nemmeno sentiti ma immagino che pure lui si stia facendo un sacco di risate leggendo e sentendo le mille ricostruzioni fantasiose circa il nostro comune futuro politico (che ad oggi non abbiamo nemmeno ideato o programmato, ma di cui leggiamo ampie immaginifiche ricostruzioni da parte di variegati commentatori politici) e, soprattutto, percependo le paure che una tale eventualità incute al sottobosco della politica tradizionale». Ma se anche per pura ipotesi un'alleanza col M5S si dovesse realizzare, come farebbe l'Idv a tenere assieme il legame con i grillini e l'interlocuzione con la Fiom, forze che tra loro a malapena si vedono? Come può la stessa Idv far convivere al suo interno pulsioni diverse, la critica alla politica, alla casta e alla corruzione con le scelte sui temi del lavoro?
Di Pietro, cui non difetta il coraggio e la disinvoltura nel calcolo politico, non ha esitato nel recente passato a compiere scelte nette, per esempio in occasione dei referendum sull'acqua e sul nucleare e di quelli sul lavoro oggi. E neppure ha esitato nel portare avanti operazioni politiche alla vigilia giudicate azzardate, poi rivelatasi vincenti, come sono state le candidature di De Magistris a Napoli e di Leoluca Orlando a Palermo, in ambedue i casi sostenute assieme alla Fds. Ma dare un'espressione politica a questa costellazione frantumata ed eterogenea non è affatto una passeggiata. Di Pietro lo sa e fino all'ultimo, nonostante le beghe interne al suo partito, proverà a mantenere aperte tutte le strade, persino quella che al momento sembra la più irrealistica: la collocazione all'interno del centrosinistra. «A livello nazionale, ad oggi, non abbiamo ricevuto alcuna risposta alla nostra proposta ma è nostra intenzione aspettare fino alla fine delle Primarie di Pd, Sel e Psi, dato che al loro interno vi sono vistose divergenze sul futuro politico e programmatico che intendono portare avanti. Sia ben chiaro perché accordi di coalizione con noi vi potranno essere solo su base programmatica, come ad esempio: l'accettazione degli obiettivi dei nostri quesiti referendari, il ritiro delle truppe dall'Afghanistan, una più equa ripartizione del carico fiscale, una maggiora attenzione al mondo del lavoro e, più in generale, una dichiarata esplicita discontinuità dalle attuali politiche del governo Monti».

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