di Vincenzo Comito
A sei anni dall'inizio della crisi, le misure prese per mettere sotto controllo la finanza sono modestissime. Negli Stati uniti abbiamo avuto l'approvazione della legge Dodd-Frank, in Gran Bretagna ha visto la luce il Vickers Report, che sta portando ad una qualche riforma del settore, a livello di Unione Europea sono state introdotte nuove organizzazioni di supervisione, mentre non va dimenticata l'elaborazione dei nuovi documenti di Basilea3. In Usa e in Europa si prepara una nuova regolamentazione dei derivati e nell'eurozona si discute di una possibile unione bancaria.
Il paradosso è che da un lato ci sono misure frammentarie e inadeguate, mentre dall'altro c'è un ampio consenso nel mondo sul fatto che dovrebbe essere portata avanti una radicale riforma del sistema finanziario.
Gli obiettivi di fondo dovrebbero essere ridurre il potere e le dimensioni del settore finanziario e di riportarlo alla funzione fondamentale di servizio all'economia reale, come accadeva, ad esempio, tra la fine della seconda guerra mondiale e i primi anni ottanta del secolo scorso. Allora il sistema finanziario era un settore "normale" e altrettanto normale, come importanza sociale e come livello di remunerazione, era la professione di dirigente finanziario.
Per raggiungere tali obiettivi bisogna intervenire con decisioni forti su moltissimi fronti, mentre il dibattito si concentra oggi su pochi temi, come l'aumento dei livelli di capitali propri delle banche e la separazione tra le attività bancarie tradizionali di sostegno al mondo produttivo e quelle di speculazione in proprio.
Le riforme che andrebbero introdotte possono essere ricondotte a tre grandi categorie, i sistemi di supervisione e controllo, la riforma del sistema bancario e una serie di temi diversi. Sul primo fronte, la regolamentazione non dovrebbe essere limitata, come è oggi, al sistema bancario in senso stretto, ma estesa a tutti gli altri protagonisti del settore, tra cui quelli che costituiscono il cosiddetto sistema finanziario ombra; il sistema di supervisione oggi concentrato sulle singole banche dovrebbe estendersi al controllo del rischio sistemico; dovrebbero in ogni caso essere rafforzati finanziariamente e organizzativamente gli organismi di supervisione e controllo; tra questi, dovrebbe essere istituito un adeguato organismo di protezione dei consumatori.
Sul secondo fronte bisognerebbe rivedere alla radice il sistema di remunerazione dei manager del settore, cambiare il sistema di cartolarizzazione dei crediti, che oggi spinge all'irresponsabilità, rivedere in senso più incisivo le regole di Basilea 3, in particolare sul capitale, ridurre le dimensioni delle banche più grandi, porre delle barriere tra i vari settori dell'intermediazione finanziaria, mentre è da auspicare comunque un ridimensionamento di alcune strutture particolari, quali gli hedge fund e i fondi di private equity. Bisogna infine sottolineare che gli interventi di salvataggio da parte dello stato nei confronti delle banche devono tradursi nell'acquisizione di adeguate quote nel capitale sociale delle stesse, mentre, in caso di crisi degli istituti di credito, devono essere messi a contribuzione, tra l'altro, anche i possessori di obbligazioni, con qualche meccanismo di salvaguardia per i piccoli risparmiatori.
Per quanto riguarda il terzo tema, va ripensata l'attività delle agenzie di rating, vanno rivisti i criteri di valutazione in bilancio dei titoli e di contratti finanziari, vanno messi sotto controllo i contratti derivati, bisogna chiudere i paradisi fiscali, introdurre una tassa sulle transazioni finanziarie (Tobin Tax), magari potenziata nei confronti delle transazioni con i paesi che non l'adottano. Inoltre bisognerebbe sottoporre a una autorizzazione preventiva l'introduzione di nuovi prodotti finanziari sul mercato.
Perché non si sono fatti progressi su quest'agenda di cambiamento? Com'è noto, c'è la grande forza delle lobby della finanza particolarmente rilevanti e ben organizzate; esse sono capaci di intervenire in maniera efficace e capillare a livello di forze politiche, di parlamenti e governi, di mass media. Per altro verso molti politici si fanno facilmente corrompere, mentre altri hanno bisogno dei soldi delle banche per tenere in piedi i partiti e per finanziare le elezioni.
Quando si parla di un maggior controllo dei paradisi fiscali, bisogna considerare che non si tratta di lottare soltanto con il Liechtstein o le Antille Olandesi, ma che oggi i due principali rifugi del denaro sporco sono la City di Londra, anche con l'appendice delle isole del Canale, e gli Stati Uniti, con lo stato del Delaware.
Sulla questione del controllo della finanza si gioca una partita essenziale per il sistema economico. L'incapacità di prendere misure radicali in tempi brevi mostra le evidenti difficoltà del capitalismo a rinnovarsi, adeguandosi alle condizioni del dopo-crisi, un'incapacità che potrebbe mettere in discussione le sue stesse possibilità di sopravvivenza.
Il Manifesto - 09.11.12