di Francesca Pilla
In attesa che entri nell'urna delle primarie e poi in quella delle elezioni di primavera la ritorsione Marchionne - 19 operai da licenziare per assumere come da ordinanza del giudice altrettanti operai fin qui discriminati dall'azienda - diversi politici del centrosinistra sono venuti a dare solidarietà alla Fiom e ai lavoratori della fabbrica Fiat. Ma, nonostante il clima, non si sono verificate grosse opposizioni per chi, tra loro, sostiene un governo che qui nessuno ama. Forse perché ormai sono settimane che le tute blu invocano un intervento dei partiti di sinistra e una pressione sul governo per fermare la strategia della tensione innescata da Fiat.
Solo Nichi Vendola e Stefano Fassina hanno subito qualche contestazione. Il leader di Sel l'ha avuta dagli esponenti del centro sociale Insurghencia, che hanno accompagnato la sua camminata con un mega poster raffigurante gli scontri di lunedì, in occasione dell'appuntamento europeo di Elsa Fornero. Con una scritta rossa e la domanda: «O al governo con il Pd o rivolta?». Spiega Antonio Musella del centro sociale: «Bersani si è augurato che il ministro del lavoro faccia outing e partecipi al prossimo governo, noi vogliamo sapere da Nichi se dobbiamo rivoltarci o scendere a patti». Vendola non ha voluto commentare, preferendo puntare sul motivo della sua visita e anche (diciamolo) su un momento di visibilità in una campagna elettorale difficile: «Essere qui - ha detto - significa venire nella capitale del mondo del lavoro angosciato dalla paura e superare la tragedia della frammentazione delle vertenze».
Altro giro, e dopo un po' è toccato al responsabile economico dei democratici, accompagnato dagli esponenti locali del partito e dalla senatrice Annamaria Carloni. A prendere di mira Fassina, un gruppo di ricercatori universitari, che gli hanno chiesto conto dell'appoggio al governo Monti. Nulla in confronto a quanto avvenuto a settembre, quando venne cacciato dagli operai dell'Alcoa. Fassina, anzi, ha continuato tranquillamente la sfilata fino a Piazza Primavera, dove è rimasto sotto il palco ad ascoltare gli interventi di Stefano Rodotà e del segretario Fiom Maurizio Landini. Poi una caduta, durante un faccia a faccia con un iscritto al sindacato dei metalmeccanici cigiellino: «La riforma del lavoro ci è stata imposta, ma noi del Pd abbiamo dato prova di grande compattezza». «Nel votarla in silenzio», gli hanno urlato alla folla, ma anche in questo caso tutto si è chiuso lì. Chi invece non ha sfilato con gli altri, ma ha preferito restare al gazebo dell'Italia dei Valori è stato Antonio Di Pietro, che non ha mancato l'occasione per bacchettare Sel e Pd: «Anche qui vedo tanta ipocrisia, i partiti che votano le leggi del governo Monti pretendono di essere a manifestare contro le leggi». Combattivo Paolo Ferrero del Prc: «Voglio denunciare l'atteggiamento mafioso della Fiat - ha detto il leader del Prc camminando tra le tute blu - perché ieri i capi sono passati nello stabilimento per minacciare i lavoratori, dicendo che chi avrebbe fatto sciopero sarebbe stato messo nella lista dei 19 da buttare fuori». Infine, presenti il sindaco di Napoli De Magistris e il suo vice Tommaso Sodano, che hanno ribadito la loror critica all'esecutivo di Monti: «Un governo democratico dovrebbe schierarsi con i lavoratori, anche perché i soldi pubblici per la Fiat ci sono sempre stati».
Il Manifesto - 15.11.12