di Ritanna Armeni
Un insegnante che ha scioperato lo scorso mercoledì ha perso circa 80 euro che, per uno stipendio che non supera di tanto i mille, sono una bella cifra. È bene ricordarlo quando si parla di uno sciopero. Chi lo fa paga di tasca propria quindi merita rispetto e considerazione. Lo ripetiamo perché nei titoli dei giornali e nella maggior parte dei commenti apparsi dopo lo sciopero europeo per il lavoro, per lo stato sociale e contro il rigore questo rispetto e questa considerazione non appaiono. Coloro che sono scesi in piazza sono figure sfocate, sullo sfondo di azioni di guerriglia, di cariche e scontri. E quello che si è consumato sulle strade italiane un ennesimo episodio di ordine o disordine pubblico.
Allora mettiamolo subito in chiaro. In questi cortei c'è chi vuole lo scontro, dei professionisti della guerriglia, c'è anche un certo numero di giovani che dalla violenza è affascinato e magari si lascia trascinare. Ma questa è la pagliuzza sulla quale intervenire se è fastidiosa ( e sarebbe bene che chi vi è preposto lo facesse senza soffiare sul fuoco) ma la trave? La trave non la vede proprio nessuno? Eppure quegli stessi giornali pubblicano migliaia di pagine, di dati, di statistiche, di notizie da cui trasuda quello che eufemisticamente definiamo "disagio sociale". Giovani che non trovano lavoro, adulti che lo perdono, cassa integrazione record, servizi chiusi, tagli alle scuole e agli ospedali, minacce di licenziamenti (ultime quelle al pubblico impiego), sfratti, mense dei poveri affollate come mai, consumi che crollano, aziende che chiudono. Questa è la "trave" che non porta solo disagio – il disagio è sopportabile – ma disperazione sociale.
E non c'è da meravigliarsi che questa disperazione esploda anche in modo disordinato, travalicando alcuni limiti, che in essa si inserisca chi ha altri fini. Che, per molti, diventi rabbia. Ma la disperazione è la trave a cui si deve guardare e che invece i grandi giornali ignorano. L'abbiamo vista a Madrid e ad Atene, negli scioperi e negli scontri di piazza, nelle proteste contro il rigore imposto dall'Europa. In Italia finora è rimasta silenziosa, sopraffatta dalla paura che è tanta, dalla sfiducia nell'ascolto che è tantissima. È esplosa qua e là, potente, ma sporadica, nel Sulcis, all'Ilva di Taranto, a Pomigliano. È emersa nei gesti di singoli che non ce l'hanno fatta e si sono lasciati andare. Ha trovato raramente –diciamo la cruda verità – quasi mai, qualcuno che la ascoltasse, ne comprendesse le ragioni, la rappresentasse. Ha ragione il ministro Fabrizio Barca quando dice che c'è un filo che unisce le proteste del Sulcis, da dove lui e il ministro Passera hanno dovuto allontanarsi in fretta con l'elicottero, e le piazze di mercoledì. Il filo è quello della esasperazione, di chi non vede di fronte a se neppure la speranza che le sue proteste possano avere un risultato, di chi non ha alcun riferimento né politico né morale.
Oggi compie un anno il governo Monti, nato il 16 novembre 2011. Per dodici mesi ha governato, sostenuto da gran parte dei partiti, con l'appoggio fortissimo del presidente della Repubblica, con il supporto fondamentale delle istituzioni europee, con una sostanziale latitanza della maggior parte dei sindacati.
Il suo compito era quello di salvare un paese alla deriva che poteva far la fine della Grecia e non riuscire a pagare né interessi né stipendi. I tecnici in questo anno, hanno tagliato, ridotto, sono intervenuti pesantemente sulle pensioni e sui redditi e continuano a dire che non si poteva fare altrimenti. Non scendiamo nel merito. Diciamo solo una cosa incontrovertibile: la situazione del paese reale dopo un anno di governo non è migliore di un anno fa.
Tutti gli indicatori economici e sociali dicono che è peggiorata. I partiti, la sinistra cominciano a prendere le distanze, ma ancora con molta troppa prudenza, la Cgil aderisce allo sciopero europeo, ma non è abbastanza. In questi mesi oltre che i salari, gli stipendi, il welfare si è consumata la fiducia nei rappresentanti dei cittadini apparsi tutti uniti nel compito di imporre al paese una medicina che lo sta uccidendo. E allora esplode la rabbia, anche nella piazze. E non è così strano che i giovani, coloro che hanno visto la scuola pubblica pagare prezzi così alti e le speranze del futuro così incerto, siano più arrabbiati di tutti.
Altro che "Violenti contro lo sciopero" come titola «l'Unità», dividendo i buoni dai cattivi e dimostrando di non saper comprendere che c'è davvero in quelle manifestazioni. Non si può pretendere che la protesta sia ordinata se non c'è nessuno o quasi che se ne fa carico. Che sfoci in un dibattito se nessuno la rappresenta.
Certo sarebbe meglio così che le cose andassero in un altro modo, ma se così non avviene le responsabilità non vanno cercate nelle piazze, ma nei palazzi della politica che da quelle piazze si sono staccati. Anzi fanno finta di non vederle. E guardano la pagliuzza rappresentata da qualche nostalgico della guerriglia invece che quella trave enorme rappresentata dalla disperazione. Una trave che – stiano attenti – sta per crollare su di loro.
da Pubblico - 16.11.12