di Adriano Prosperi
La “costituzione materiale” di questo governo suona così: «La Repubblica non riconosce a nessun cittadino il diritto al lavoro. E quindi non esiste più il dovere di contribuire col loro lavoro alla società».
Nella discussione confusa sulla crisi del sistema parlamentare e delle rappresentanze elettive, mentre i cittadini aspettano che si dia loro la possibilità di scegliere tra i vari partiti per ripartire verso un governo politico che sostituisca finalmente il direttorio “tecnico” – meglio sarebbe dire i commissari incaricati dal sistema finanziario di salvare banche e pagare debiti al prezzo dello scorticamento delle fasce non protette della società – vorremmo tornare qui a rileggere l’articolo 1 della Costituzione repubblicana del 1948: «L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro».
Oggi questo articolo è un ferro vecchio. Non solo il lavoro non c’è nella realtà sociale del Paese: ben di più e di peggio, il lavoro non è più un diritto. La frase dell’attuale ministro del Lavoro, Elsa Fornero, è la formula riassuntiva della riforma del lavoro che è stata da lei compiuta e i cui esiti stanno devastando quel che era sopravvissuto delle forme giuridiche di tutela dei lavoratori. Rileggiamo con la nostalgia del tempo che fu anche l’articolo 4 della Costituzione: «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere secondo le proprie possibilità e la propria scelta un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società». Oggi quel diritto e quel dovere non esistono più, l’articolo nella “costituzione vb materiale” che ci governa suona così: «La Repubblica non riconosce a nessun cittadino il diritto al lavoro. Di conseguenza non esiste più il dovere dei cittadini di contribuire col loro lavoro al progresso materiale e spirituale della società». Come il caso Fiorito conferma (il personaggio resterà simbolo imperituro dell’Italia di oggi quando tutto il nostro presente apparterrà alla storia antica), la retribuzione, i consumi individuali e lo stile di vita non hanno nessun rapporto col lavoro: sono un privilegio distribuito a proprio piacere da chi viene cooptato nella casta dei potenti. La realtà quotidiana intanto ci notifica che sono in discussione o apertamente cancellati tutti i diritti connessi al fondamentale diritto al lavoro e specificati nel titolo III della Costituzione: diritto alla retribuzione, alla salute, alla tutela del lavoro in tutte le sue forme, alla parità del trattamento tra uomini e donne, alla formazione professionale). Ne discende la disgregazione dell’Italia conseguente alla perdita del suo fondamento: oggi la tutela della salute individuale e dell’ambiente (vedi l’Ilva) è disgiunta dalla tutela del lavoro, anzi è in conflitto col lavoro. La condizione dei lavoratori è quella dell’abbandono e della solitudine: lo dimostra Giorgio Airaudo, responsabile del settore auto della Fiom nel libro La solitudine dei lavoratori (Einaudi), dove ci ricorda che nel nostro sistema giuridico fino al 1966 «non esistevano limiti al potere del datore di lavoro di licenziare senza motivo o giusta causa». Durissima la conquista dei diritti, breve l’ascesa al Paradiso della dignità, rapida e senza resistenza la caduta all’inferno attuale. Uno storico di valore come Luciano Canfora ha dato una diagnosi spietata della condizione in cui ci troviamo e delle prospettive. Nel suo libro è l’Europa che ce lo chiede! con sovrascritto in rosso “Falso!”(Laterza), si legge per esteso la famosa ma poco nota lettera (anche perché a lungo segretata) spedita da Francoforte il 5 agosto 2011 al primo ministro dell’epoca, il Berlusconi di non abbastanza esecrata memoria: si tira un freno sulla sovranità nazionale e si dettano le condizioni che una Banca (sia pure centrale ed europea) impone al Paese. Ci sono tutte: taglio delle pensioni, privatizzazioni su larga scala, cancellazione della contrattazione salariale collettiva, libertà di licenziamento, riduzione degli stipendi nel settore pubblico, fino alla abolizione o fusione delle Province oggi in atto. Con quella lettera e con la formazione di un governo di tutela delle banche finisce e si arresta la lunga marcia dei diritti cominciata con la Dichiarazione del 1791; e si annuncia la chiusura di un’intera fase della Storia occidentale, quella di cui furono antesignane le antiche città greche: l’età e i valori della democrazia, nel senso di sovranità popolare affidata a Parlamenti eletti a suffragio universale.
Left 41 - 13 ottobre 2012