121121nomorefemminicidiodi Vittoria Tola
Femminicidio! Violenza maschile sulle donne! Mai più! NO MORE come recita il titolo della Convenzione firmata dalle maggiori associazione di donne che da anni sono impegnate ad aiutare le donne, combattere la violenza e prevenire il femminicidio. Un neologismo politico, una parola che da mesi sta entrando con forza nel lessico giornalistico e quotidiano, nei dibattiti politici. Un neologismo voluto e affermato da anni da studiose femministe e dalle lotte delle donne per svelare questa violenza in tutto il mondo a partire dal Messico in cui le donne sono state protagoniste del suo riconoscimento giuridico nei tribunali internazionali. Un termine adottato dall’Onu.

In Italia, con fatica si sta facendo largo la convinzione che a essere brutta non sia la parola ma il fenomeno che rappresenta e che mette in luce obbligando tutti a superare silenzi, complicità e minimizzazioni. Femminicidio infatti indica l’omicidio di donne in quanto donne, mette allo scoperto la radice di genere di questi assassini e li definisce come tali non in modo neutro ma in base al genere. Come risultato di ogni forma di discriminazione e violenza rivolta alle donne in ogni sua forma in quanto donne a causa del potere che viene esercitato su di esse affinchè il loro comportamento corrisponda alle aspettative maschili e della società. Una forma di controllo che punta ad annientare l’identità della donna e la cui disobbedienza è punita con violenza e sempre più spesso con la morte.

Un potere sistemico che attraversa il tempo e lo spazio e si rappresenta in forme proprie in ogni società violando i diritti fondamentali spesso con la complicità e connivenza delle istituzioni. O fidando del loro silenzio. Come vediamo in Italia dove anche quest’anno, come in quelli precedenti, la cronaca ci informa di donne uccise da uomini. Donne di tutte le età, di vari ceti sociali, abitanti in diverse parti del paese. Le loro morti differiscono solo per le modalità più o meno efferate della loro uccisione e per le vittime collaterali che le accompagnano ma tutte hanno in comune, salvo una minoranza, che sono uccise da uomini che hanno con loro relazioni affettive, sentimentali, matrimoniali o parentali a cui si sono ribellate. Prima di essere uccise 7 volte su 10 hanno chiesto aiuto per il lungo protrarsi di violenza fisiche, sessuali, psicologiche ed economiche a qualche struttura dello Stato. Invano!

Davanti al silenzio che diventa complicità con i violenti e gli assassini le maggiori associazioni di donne che da decenni si occupano della violenza maschile contro le donne su proposta dell’Udi, Unione donne in Italia, a maggio dopo la morte di Vanessa Scialfa, l’ennesima ragazza uccisa, hanno aperto un confronto per andare oltre l’indignazione e la denuncia in cui le donne da troppo tempo sono costrette, per convenire sull’analisi del fenomeno e sulle strategie con cui affrontare questa violenza con il tragico costo umano, sociale, culturale ed economico che esso comporta e per stringere un patto per proporre allo Stato, in tutte le sue articolazioni, le politiche necessarie non più rinviabili. Proposte nate dalla riflessione e dall’esperienza rafforzata dalle valutazioni degli organismi internazionali dall’Onu all’Europa come il rapporto della Relatrice speciale dell’Onu Rashida Manjoo sull’Italia dimostra e come la Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa sottolinea in generale.

Per questo realtà importanti che rappresentano decine e decine di gruppi organizzati come l’Udi, la Casa internazionale delle donne di Roma, GIULIA, D.I.re la rete dei centri antiviolenza, la Piattaforma CEDAW, hanno deciso di condividere un patto, una strategia e una piattaforma rivolta alle istituzioni e a tutte le strutture dello stato per dire basta alla violenza. Ma per arrivare a questo è necessario, come la Convenzione afferma, che la violenza maschile contro le donne sia considerata da tutti non come un problema privato ma politico che trova la sua origine nei rapporti di potere tra i sessi, nella struttura del sistema patriarcale e nella incapacità di governare la sua crisi, nella esclusione e marginalizzazione delle donne dal potere politico e sociale, nel permanere di discriminazioni e di stereotipi sessisti nella società, nella cultura e nei mass media.

La Convenzione No More propone politiche concrete per promuovere una cultura che non discrimini le donne e per adottare ogni misura idonea a prevenire la violenza della cultura maschile, politiche per proteggere le donne che vogliono fuggire dalla violenza maschile. Partendo dalla necessità di raccogliere in modo serio i dati secondo modalità internazionali su tutte le forme di violenza contro le donne, raccolta di dati che oggi in Italia non esiste, di promuovere la formazione di tutti gli operatori che in ragione del loro servizio vengano a contatto con le donne vittime di violenza dalle forze di polizia ai servizi sociosanitari, ai magistrati, ai giornalisti, tutti soggetti che spesso creano vittimizzazione secondaria. E’ necessario far partire processi di cambiamento nella scuola, nell’università e nei mass media.

Nell’immediato serve una organizzazione sistematica e certa di strutture specializzate, i centri antiviolenza, in ogni città, in cui le donne, anche con eventuali i figli, possano trovare protezione e aiuto in collaborazione con le reti locali competenti, formate, verificate e correttamente finanziate. Reti coordinate dai comuni attraverso fondi regionali previsti per legge e su cui ci siano indicazioni certe da parte di tutti i ministeri competenti. Nella sostanza La Convenzione richiama lo Stato e le sue strutture al loro dovere di garantire alle donne il diritto alla vita e all’integrità psicofisica. A far rispettare la differenza sessuale e i diritti di cui le donne sono portatrici. Per questo abbiamo chiesto di incontrare il Presidente del Consiglio Monti e il Presidente della Repubblica Napolitano. A tutte/tutti coloro che condividono la proposta di darci forza aderendo alla Convenzione.

da Micromega

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