121126treno calabriadi Silvio Massinetti
Il giorno dopo la strage l'attenzione si concentra sui passaggi a livello affidati a privati. In effetti la Calabria ne è piena. Ma si tratta di un ballon d'essai. Uno specchietto per le allodole che nasconde il vero problema. Lo stato medievale in cui versa il sistema ferroviario nella punta dello Stivale e, segnatamente, quello della costa jonica. L'ecatombe di braccianti romeni, travolti dal regionale Metaponto-Reggio, nell'agro rossanese, non è stata, infatti, una casualità. Ma una tragedia, purtroppo, attesa a queste latitudini. E non è cavillando sulla normativa, il Dpr n. 573 del 1980 che regola i passaggi a livello, come fanno in queste ore i vertici del ministero dei Trasporti e di Trenitalia, che si affrontano i problemi.
Come da prassi la Procura di Rossano ha aperto una inchiesta sull'incidente.
L'ipotesi di reato è di omicidio colposo plurimo e al momento non ci sono indagati. Si stanno verificando eventuali responsabilità nell'apertura dei varchi per attraversare i binari.

Al momento l'unica cosa che è trapelata da ambienti investigativi è che il cancello era aperto e non è stato forzato dai due migranti scesi per aprirlo.
Se lo abbiano trovato già aperto o se avessero le chiavi questo non è stato acclarato. Le indagini faranno il loro corso, e verificheranno le responsabilità di ciascuno. Ma una cosa è certa e ogni episodio di cronaca ce lo ricorda: l'abbandono della Calabria da parte dello Stato. Nemmeno dieci giorni fa sullo stesso tratto, tra Rossano e Mirto Crosia, si era rischiata un'analoga tragedia. Il regionale Sibari-Catanzaro aveva investito un gregge di pecore. Nessun danno ai viaggiatori, mentre diversi ovini erano rimasti uccisi nell'impatto. Grazie al ritrovamento della targhetta di identificazione degli animali è stato possibile risalire al proprietario su cui pende una denuncia per omessa custodia. «Il treno - comunicava Rfi - ha proseguito la corsa con una limitazione di velocità ed è giunto a destinazione con 30 minuti di ritardo». Uno scialbo comunicato, e via. In attesa di un nuovo fatto a ricordarci lo stato vetusto dei trasporti calabresi e le responsabilità gigantesche dello Stato.
Insieme alla drammatica, dolorosissima concretezza dei fatti, ci sono, in effetti, troppi elementi simbolici che fanno urlare di rabbia e di sdegno, per tante ingiustizie e per tanta ignavia. Vediamo un po'. Il primo elemento è il più clamoroso: nella fascia ionica della Calabria ancora non esiste una linea ferroviaria elettrificata. Più o meno siamo all'Ottocento. Provate soltanto a paragonare quello che hanno fatto le Ferrovie per il nord e quello che hanno fatto per queste lande. E' impossibile: la distanza è abissale. Sulla linea ionica ci sono ancora dei treni a nafta (è già un miracolo che non siamo più a vapore) che procedono su un binario unico, lentissimi, affollatissimi, e si fermano alle stazioni (le poche e cadenti stazioni) per far passare il treno che va nell'altra direzione. Da Lamezia Terme a Crotone (poco più di 100 chilometri) si impiegano ben tre ore. Sono trenini, in genere di due soli vagoni, che devono servire una tratta di 500 chilometri, che attraversa anche il capoluogo Catanzaro e arriva fino a Reggio, e abitata da più di un milione di persone.
A questo si aggiunge che sulla jonica c'è una sola strada, la famigerata 106, che è poco più di un sentiero asfaltato, pericolosissimo, e che produce decine e decine di morti ogni anno, e che per ironia della sorte, è anche qualificata come «strada statale». E ora la novità che forse in pochi conoscevano: il passaggio a livello privato. Cosa vuol dire? Che siccome lo Stato non ha provveduto a costruire ponti, o sottopassi, o impianti di passaggio a livello pubblici (che costano e dunque la Calabria non se li merita) ha deciso di permettere che i treni attraversino terreni privati e poi ha deciso di dire ai titolari dei terreni: «pensateci voi a regolare i passaggi a livello...». E' un oscenità. E' una roba da medioevo. Il risultato terrificante lo abbiamo davanti agli occhi: sei lavoratori dei campi, una mezza dozzina di immigrati, che si spaccavano la schiena chissà quante ore al giorno per quattro soldi, sono stati annientati dalla «littorina» di Stato.

Il Manifesto - 26.11.12

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