di Alfonso Gianni
La riunione straordinaria del Consiglio europeo di pochi giorni fa a Bruxelles si è conclusa con un totale fallimento. La Merkel come al solito tende a minimizzare, ma di questo si tratta. Formalmente c'è ancora tempo per decidere. Infatti il vertice sul bilancio pluriennale 2014-20 è stato aggiornato all'inizio dell'anno entrante. Ma le divergenze venute alla luce non inducono all'ottimismo.
A Bruxelles si è consumato uno scontro tra i paesi più ricchi che, persino più della crisi della Grecia, mette in dubbio la continuazione della Unione europea.
Non dimentichiamo infatti che lo scorso vertice di giugno, quello che aveva definitivamente sancito il famigerato fiscal compact, aveva contemporaneamente varato un cosiddetto piano per la crescita di poco più di 127 miliardi per i 27 paesi. Già allora era evidente che si trattava di uno sputo nell'oceano, niente altro che una foglia di fico per nascondere l'obbrobrio del fiscal compact, alla quale, tra gli altri, si era aggrappato Hollande per giustificare in qualche modo l'adesione a quest'ultimo.
Ma la scorsa settimana a Bruxelles è andato in scena uno spettacolo ancora peggiore. Il presidente del Consiglio della Ue, Herman Van Rampuy, ha proposto un piano di riduzione di oltre 80 miliardi di euro rispetto a quanto aveva proposto la Commissione. Ma la Gran Bretagna in particolare, nonché la Germania, l'Olanda e la Svezia ne pretendono ancora di più. Così l'attuale riduzione del 2% sul bilancio 2007-13 potrebbe ancora aumentare. E già siamo a un bilancio che è pari a solo l'1,01% del Pil della Ue. Van Rampuy ha cercato di addolcire un poco la pillola, soprattutto per la Francia, allentando la stretta sull'agricoltura, mentre Monti può dire che le cose per l'Italia sono andate meno peggio che nel passato, visto che può scaricare il tutto su come Berlusconi aveva gestito le cose nel 2005.
Ma questo non cambia minimamente il quadro negativo della situazione. Non solo la quantità viene ridotta, ma anche la qualità della composizione del bilancio pluriennale viene peggiorata. Infatti la Commissione nella sua proposta aveva avanzato qualche criterio innovativo, spingendo in particolare sugli investimenti nel settore della ricerca e dell'innovazione, in quello dei trasporti, dell'energia e delle comunicazioni. Questo, almeno sulla carta - tutto poi sarebbe ovviamente dipeso dagli utilizzi concreti - avrebbe potuto cercare di invertire la perdita di quote sul mercato globale dell'industria europea, dando anche una risposta in termini occupazionali, visto l'incremento della disoccupazione già certificata dalle recenti rilevazioni nei paesi dell'Eurozona. Invece niente di tutto questo. I tagli proposti da Van Rampuy si sono abbattuti in particolare su questi caratteri innovativi, ripiegando invece sui settori tradizionali la cui spinta alla crescita, specie se di nuovo tipo, è certamente inferiore se non nullo.
Il senso politico del fallimento è chiaro. La Ue riesce a imporre, più che trovare, l'accordo solo quando si tratta di dare vita a politiche di austerity, ovvero di contenimento dei deficit e di riduzione a tappe forzate del rapporto debito/Pil. Quando però si tratta di agire sull'acceleratore della crescita la Ue si frantuma. La Gran Bretagna sta già più fuori che dentro (i Tories reclamano con sempre maggiore insistenza un referendum sulla permanenza del Regno Unito nella Ue), la Germania ha solamente il problema di tenere buoni i propri elettori fino all'autunno dell'anno prossimo quando si voterà, la Francia se la cava in qualche modo tutelando la propria agricoltura, l'Italia si consola confrontandosi con un passato peggiore.
Ma c'è di più. Se il bilancio può diminuire questo significa che la tesi della irreversibilità del processo di unità europea è revocata in dubbio. Si rafforza cioè un processo inverso, quello alla rinazionalizzazione delle politiche di investimento. Alcuni pensano che proprio questo è il maggiore successo del premier inglese David Cameron. Ma se l'unico cemento che tiene insieme la costruzione europea sono i sacrifici, le lacrime e sangue imposte ai paesi del Sud dell'Europa, la previsione che questa possa implodere in tempi ancora più rapidi della sua moneta non è poi così incauta.
da www.huffingtonpost.it