di Roberto Gramiccia
Non c’è dubbio che sabato 1 dicembre al Teatro Vittoria di Roma sia accaduta una cosa importante. Si è assistito, infatti, al successo notevole e non scontato ottenuto dai firmatari dell’appello “Cambiare si può”. Un successo indubbio che non ha escluso (e forse non poteva farlo) qualche chiaroscuro. Tanta gente, anche se il dato quantitativo non va enfatizzato, a fronte delle aspettative che si erano create. Una tensione alta negli interventi che si sono succeduti e una buona capacità di analisi e di proposta, sulle quali solo a tratti hanno prevalso istanze emotive e spunti di un certo populismo di sinistra.
Uno schieramento che aspira, alle prossime elezioni a recuperare voti dal bacino ampio dell’astensionismo di sinistra e ad essere antagonista rispetto a Grillo e al Pd, anche se su questo ultimo aspetto non c’è stata una totale unanimità di intenti.
In particolare è stata tutt’altro che inequivoca (nonostante gli applausi) la posizione di De Magistris, il quale non mi pare abbia sciolto le sue riserve. Ingroia ha detto che ci sarà. Ma non è chiarissimo con chi (visto che il suo amico e massimo sponsor, De Magistris appunto, non ha fatto una scelta precisa a favore o in concorrenza col centrosinistra) e da dove, se dal Guatemala, continuando a fare quello che fa ora e quindi fornendo unicamente un sostegno morale, o dall’Italia, evidentemente rinunciando al suo incarico e scegliendo di entrare definitivamente in politica. Non sono mancati inoltre spunti polemici molto aspri (pochi per la verità) contro “tutti i partiti” e “tutte le maledette bandiere”, cosa che non sarebbe piaciuta nemmeno agli anarchici più incalliti, che la loro bandiera ce l’hanno sempre avuta.
Non si è data la parola ai dirigenti di partito, ai segretari, che poi alla fine era solo uno: Paolo Ferrero, per far parlare la cosiddetta società civile. Che sarà pure una cosa al passo coi tempi. Ma della società civile fanno parte anche le sue forme organizzate, per esempio i partiti. In questo caso, il partito. Perché di partito ce n’era uno solo: Rifondazione comunista. Oppure si deve intendere che la società civile, per essere tale, deve negare ab initio ogni forma di organizzazione? Ed è forse negando qualsiasi forma di organizzazione che ci disponiamo ad affrontare un confronto elettorale che vedrà scendere in campo giganteschi e agguerritissimi poteri?
Di Pietro non c’era. Ci sta ancora pensando. Se ci fosse stato, lo avrebbero fatto parlare? Forse no, forse sì. Ma comunque, a pochissimo tempo dalle elezioni, quando le facciamo parlare queste persone? Va molto bene lo spontaneità libertaria, la volontà di non avere leader e lo spirito di testimonianza ma questa roba non basta, qualsiasi sarà la legge elettorale che verrà utilizzata. Del resto Floris d’Arcais lo ha pure detto, che forse è meglio stare fermi un giro per non bruciarci. Ma R.C. questa cosa se la può permettere?
Mi rendo conto di seminare qualche dubbio. E che al punto in cui siamo questo è un rischio. Ma c’è un rischio ancora maggiore che dobbiamo evitare: quello di farci legare le mani dai complessi di inferiorità, rispetto ad un senso comune che si è imposto anche a sinistra. Non è che adesso ci dobbiamo vergognare se il nostro è il solo (o quasi) partito politico organizzato della sinistra di classe. Sarà un partito piccolo e pieno di problemi ma è pur sempre l’unica forza politica organizzata finora disponibile a partecipare ad un possibile schieramento anticapitalista e antiliberista. Questo non ce lo dobbiamo scordare.
Perché se è vero, come spesso ricorda Ferrero, che Di Vittorio invitava i suoi “cafoni” a non togliersi il cappello davanti ai padroni, è vero a maggior ragione che noi non ce lo dobbiamo togliere per essere ammessi in consessi democratici ed aperti che condividano con noi la prospettiva della costruzione di un polo antiliberista. Sia detto senza arroganza e con tutta l’umiltà del caso, ma anche con la decisione che richiede qualsiasi posizione non ambigua. Dopo di che non c’è dubbio che la pazienza sia una virtù rivoluzionaria. Basta che non diventi rassegnazione.