fiommarellidi Giorgio Salvetti
A Milano in migliaia in Duomo con Landini: «Non si può chiedere ai cittadini di votare alle primarie e impedirgli di votare in fabbrica»
Maurizio Landini sta parlando da mezz'ora. Sul palco gira un foglietto. «Compagni, è arrivata la notizia che purtroppo ci aspettavamo: Fim e Uilm hanno firmato l'accordo separato con Federmeccanica». Piazza Duomo esplode. «Venduti! Venduti!». Il segretario riprende la parola: «Se pensano di farci uno sgarbo si sbagliano, vorrà dire che lo sciopero di domani (oggi, ndr) andrà ancora meglio. Abbiamo presentato denuncia al tribunale di Roma perché non si può fare un accordo escludendo l'organizzazione sindacale più rappresentativa».

Ventimila operai sono venuti a Milano da tutta la Lombardia e non hanno nessuna intenzione di arrendersi. «Vi diranno che vi danno 130 euro in più in tre anni ma in realtà distruggono il contratto nazionale - grida Landini- mettono in competizione i lavoratori, allargano il modello Marchionne a tutte le aziende, aumentano l'orario di lavoro, introducono il principio che non si pagano i primi tre giorni di malattia, spostano la trattativa sul piano aziendale senza che le rsu abbiano il diritto di trattare. A Fim e Uilm dico: se siete veramente convinti che questo sia un buon accordo fatelo decidere ai lavoratori con il voto». E poi si rivolge ai partiti: «Si è tanto parlato di partecipazione democratica, ma non si può chiedere il voto ai cittadini per le primarie e poi impedire che siano cittadini in fabbrica negandogli il diritto di votare e di esprimersi sulla propria condizione di lavoro. Chiedo a Bersani di mettere nel suo programma una nuova legge sulla rappresentanza».
Il discorso di Landini è lungo e articolato, ma capace di appassionare. Non lascia nessun punto oscuro e piazza Duomo lo segue con attenzione, tutti fermi in piedi per due ore al gelo di una limpida mattinata di dicembre. Si passa dall'apprezzamento al no della Cgil sull'accordo voluto dal governo sulla produttività - «ma dire no non basta, bisogna anche mobilitarsi», all'Ilva - «ci vuole un intervento pubblico, non è una parolaccia». Senza dimenticare il governo Monti: «Se ne deve andare a casa».
Il corteo era partito due ore prima da porta Venezia. In testa sei pannelli rossi compongono la scritta «L.a.v.o.r.o.». Seguono i cartelli delle aziende lombarde in crisi: Maflow, Agile-Eutelia, Nokia Siemens... E' un lungo elenco in una regione dove solo nel 2012 sono stati persi 60 mila posti di lavoro. Eppure questi operai hanno ancora la voglia di scendere in piazza orgogliosi, determinati ma senza perdere il gusto per la battuta. «Veloci ragazzi andiamo - incita il suo spezzone un operaio di Brescia - che stasera devo fare gli straordinari, obbligatori». Megafono in una mano, bandiera della Fiom Lombardia nell'altra e spilletta del Movimento Cinque Stelle sulla giacca, un manifestante si rivolge alle vetrine: «Nei negozi vi sfruttano, venite fuori con noi». Dal camion arriva l'annuncio. «Siamo in tanti, tantissimi. E siamo tanto tanto incazzati!». Un ragazzo declama la sua nuova parolaccia: «Brutta troika!».
Si sfila davanti alla Scala e Palazzo Marino, e arriva il corteo degli studenti. Strette di mano e lancio di fumogeni rossi. Poi tutti verso il Duomo. Dal palco cominciano gli interventi. Una delegata scalda la piazza: «Non rassegnatevi. Lo dico anche ai giovani e agli studenti, perché sappiate che il futuro è un contratto di lavoro, ma un contratto di quelli belli e seri!». Prende il microfono un rappresentante degli esodati «senza reddito e senza pensioni», conclude salutando con il pugno chiuso ricambiato da migliaia di persone. Quando Landini prende la parola viene salutato da un grande striscione: «Meglio morire in piedi che vivere in ginocchio». Qui sono tutti in piedi ma hanno tutti un gran voglia di vivere. Lo dice anche Landini: «All'Iveco di Jesi hanno scioperato quasi tutti, Marchionne stia tranquillo, noi c'eravamo prima di lui e ci saremo a lungo anche dopo di lui».
Oggi si replica. Maurizio Landini è a Padova. E dopo Lombardia, Marche e Toscana, si manifesta in tutte le altre regioni. A Torino parla Giorgio Airaudo.

Il Manifesto - 06.12.12

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