bersanidi Luca Sappino
I sondaggi lo fanno forte, a Bersani, e lo rendono molto sicuro di sé. «Non ci sarà alcuna situazione di ingovernabilità - dice infatti alla stampa estera - e avremo una maggioranza numerica e politica». Vedrete, insomma, ci sarà di che rassicurare lo Spread. Però, tanto ne è Bersani, che una porta la apre comunque. E prosegue così il leader del Pd: «Ma io intendo che i progressisti siano generosi e aperti». Verso chi? Verso le forze del centro «europeista e costituzionale», dice, citando la carta d’intenti delle primarie, «perché abbiamo davanti la possibilità di dare governabilità a questo Paese».

E verso però anche Mario Monti, perché «io ho detto al presidente -dice Bersani - che lui è una figura che deve continuare ad avere un ruolo nel nostro Paese». Certo, «dopo di che - aggiunge - mi fermo lì», perché il ruolo lo si deciderà dopo il voto, pur sapendo che «se toccasse a me - dice immaginandosi premier - il primo colloquio lo farei con Monti. Per ragionare assieme». Ma il messaggio, se non si fosse capito, è chiaro: «Confermo la mia assoluta intenzione di vedere impegnato il presidente Monti», anche perché, «Monti l’abbiamo voluto noi e io interpreto la sua agenda come un’agenda di rigore e rispetto dei vincoli europei». Monti insomma, dice però Bersani cercando così di disinnescare anche le avances berlusconiane e ogni tentazione di misurarsi col voto del professore, che «deve stare fuori dai giochi». Perché «vederlo raccogliere le firme in una settimana per presentarsi alle elezioni non ci sembra una cosa di cui l’Italia senta il bisogno. L’Italia ha bisogno che Monti rimanga una risorsa». Il presidente, insomma, deve tutelarsi e deve tutelare la vittoria di Bersani.
Ma come? E Vendola? A sentire queste parole, e ad incrociarle con quelle sull’art. 18 («È un problema solo simbolico», dice Bersani), e ancora con quelle sull’agenda del rigore, confermata, seppur, confessa Bersani, «io ci voglio mettere più riforme, frutto di una maggioranza politica e coesa», la sinfonia potrebbe non piacere all’orecchio dell’al - leato di sinistra. Sel è «portatore di sensibilità sui temi ambientali e dei diritti», è «una risorsa preziosa», ma - è il messaggio - non si illuda. Perché «non siamo ai tempi di Prodi quando c’erano 12 partiti», e ora è difficile immaginare condizionamenti da parte di Vendola nei confronti del Pd, perché oggi, dice il candidato premier, «il Pd è di gran lunga il più grande partito del Paese, ben sopra il 30%».
È dunque una questione di rapporti di forza, che certo le elezioni potranno pure, teoricamente, ribaltare, ma che per ora sembrano invece radicalizzarsi. Anche perché la partita delle primarie per i parlamentari, ha fatto segnare al Pd un altro punto, anche nel confronto diretto con Sel, che ha dato l’impres - sione di andare un po’ a ricasco sulla scelta dei democratici, che quindi capitalizzeranno anche questo, continuando così la rimonta ai danni dell’antipolitica grillina, ovviamente, ma non solo.
Ma se ci dovessero poi essere problemi, con Sel, incomprensioni e divergenze sui voti in aula e sulle scelte del prossimo governo? La risposta che Bersani dà ai cronisti stranieri è rassicurante: «se ci saranno dei problemi - dice il segretario - li risolveremo». D’altronde nella carta d’intenti c’è scritto chiaramente: se non si è d’accordo su qualcosa, prima di andare in aula si vota a gruppi riuniti. E lì, in effetti, contano i rapporti di forza.

da Pubblico

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