di Giulio Marcon
La legge di stabilità per il 2013, appena approvata, riassume bene un anno di politica economica del governo Monti all'insegna del rigore (a senso unico), dell'assenza di equità, di insignificanti misure per la crescita. Rigore, equità e crescita: erano le tre parole chiave con cui Monti si era presentato in parlamento nel novembre del 2011, all'atto del suo insediamento. Il rigore è stato applicato ai lavoratori, ai pensionati e ai cittadini, ma non alla casta dei militari e al 10% privilegiato della società. Di equità sociale non c'è traccia tanto è vero che le diseguaglianze e le povertà nell'ultimo anno si sono accentuate: un quarto della popolazione non riesce a far fronte a spese impreviste
di qualche centinaio di euro. La crescita è un miraggio: nel 2012 il Pil diminuisce del 2,4% e le prospettive per il 2013 non sono molto migliori.
La legge di stabilità per il 2013 taglia pesantemente i fondi alla sanità, agli enti locali, alla scuola e all'università (mentre si stanziano altri 223 milioni per le scuole private), fa calare i consumi e intacca redditi familiari con l'aumento dell'iva di un punto percentuale, colpisce i contratti dei dipendenti pubblici. Sul fronte della crescita butta 2miliardi e 700milioni per le grandi opere - inutili e dannose e che non faranno ripartire l'economia - e con la misura sulla detassazione del salario di produttività stanzia 1miliardo e 200 milioni per una iniziativa virtuale e anche questa inutile di fronte ad una crisi che non lascia grande spazio ad "aumenti di produttività".
Un paio di mesi fa Monti ha ammesso di essere consapevole che l'impatto delle sue manovre - secondo lui necessarie per far riguadagnare credibilità all'Italia ed evitare il baratro - è stato recessivo; e infatti l'economia è ulteriormente crollata nell'ultimo anno. Ha detto che per l'Italia non bastava l'aspirina, ma una medicina forte: una sorta di "cura da cavallo" che rischia però di far stramazzare anche il cavallo. Nel frattempo non ha fatto niente per invertire le tendenze recessive alimentate dalle sue politiche: nessuna misura per il lavoro (bensì contro il lavoro) e nessun investimento pubblico vero per lo sviluppo.
Ha però salvato i più ricchi evitando di fare la patrimoniale, ha premiato la casta dei generali permettendogli di spendere nei prossimi anni 13 miliardi di euro per i cacciabombardieri F35, ha graziato le banche facendo marcia indietro sui provvedimenti a favore dei cittadini (portabilità dei mutui, tasso di usura, trasparenza per le commissioni bancarie) e destinando quasi 4miliardi e e mezzo per salvare il Monte dei Paschi di Siena.
Eppure altre politiche -alternative alle misure previste dalla legge di stabilità- sarebbero state possibili, come ha evidenziato Sbilanciamoci nella sua ultima "controfinanziaria" (www.sbilanciamoci.org), se invece della politica neoliberista e di austerity fosse prevalsa (in Italia, ma anche in Europa) un'idea diversa di politica economica: anticiclica, riformista, keynesiana. Una politica che avrebbe dovuto mettere al centro la redistribuzione della ricchezza, un piano del lavoro come quello proposto dalla Cgil e un programma di interventi pubblici per rilanciare l'economia. Si è perso un anno di tempo ed è finalmente ora che il governo passi in altre mani affinchè si riapra una prospettiva di cambiamento con la quale far ripartire il paese.