ricchipianganodi Alfonso Gianni
L'argomento fisco - che dovrebbe essere uno dei temi centrali in una campagna elettorale nel mezzo della più grave crisi economica in Europa che si ricordi - viene invece quasi infilato di straforo nella discussione, sull'onda di qualche estemporanea boutade televisiva. Mi riferisco ovviamente all'uscita di Vendola che ha mandato all'inferno i ricchi. Una minaccia del tutto spuntata in verità, dal momento che tutti sanno, compreso Casini immagino, che l'infermo non esiste. Bersani scivola via trattando Nichi come un discolo che fa battute e quest'ultimo restringe il senso della medesima al patetico Depardieu che sta girando l'Europa alla ricerca del sistema di tassazione a lui più favorevole. Non poteva mancare in questa elevata discussione il richiamo al famoso manifesto di Rifondazione comunista intitolato "Anche i ricchi piangano". Vendola se ne dissocia, anche se tardivamente.

D'Alema a suo tempo lo definì pressappoco come il manifesto più cretino che avesse mai visto. Io invece, pur a distanza di anni, lo trovo una delle cose migliori che siano state partorite dalla propaganda di sinistra in questo nostro sfortunato paese.
Non ci rivolgemmo alla solita agenzia di creativi, ma lo producemmo in proprio, grazie al lavoro e all'intelligenza del nostro piccolo dipartimento propaganda e comunicazione, mettendoci la faccia in prima persona. Era il 2006. Si approssimava la finanziaria. Rifondazione aveva una piccola delegazione nel governo Prodi e sapevamo che non sarebbe stato facile attuare misure favorevoli ai ceti meno abbienti, perché era già cominciata la litania del rigore, allora interpretata da una figura di indubbio spessore intellettuale come Tommaso Padoa Schioppa.
Discutemmo come fare giungere un messaggio chiaro al "popolo di sinistra", come si usa dire, quello che in parte pensavamo di dovere e potere rappresentare. Scartammo subito l'ipotesi di fare un elenco di rivendicazioni. Ne sarebbe risultato un manifesto illeggibile e noioso. Al contrario decidemmo di puntare sull'ironia. In questa scelta c'era forse un di più di intellettualismo, ma non ne sono affatto pentito. Le precedenti finanziarie erano state all'insegna delle "lacrime e sangue" per i ceti più deboli, come si diceva con un'espressione diventata retorica ma purtroppo fondata. Bisognava quindi cambiare il messaggio per essere efficaci. Ci vennero in mente due cose. Lo splendido testo della celebre "Ho visto un re" di Dario Fo e Enzo Jannacci; ma soprattutto qualcuno si ricordò del titolo di un'inguardabile soap opera di successo. Si trattava di una telenovela messicana, considerata da chi si occupa del settore la più importante mai prodotta sul finire degli anni '70, dal titolo "Anche i ricchi piangono" (Los ricos tambien lloran). Ed ecco fatto, il nostro manifesto era pronto: la foto di un panfilo, il titolo con il congiuntivo esortativo "piangano", due righe sotto per spiegare che volevamo difendere i redditi dei più deboli. Le cose non andarono così, non perché quel manifesto fosse bello o brutto, ma perché prevalse la linea del rigore che portò dritto e filato il secondo governo Prodi alla fine prematura (l'incidente di percorso furono le vicende della moglie di Mastella, come si ricorderà) nella delusione proprio di quei ceti popolari che avevano votato nella speranza di cambiare la situazione.
E' forse utile ricordare queste cose, seppure con autoironia, perché oggi colpisce la stessa irresponsabilità. Qualcuno può realmente credere che si possa rilanciare l'economia, raddrizzare una disoccupazione che nelle sue cifre reali è ben al di sopra delle due cifre, che si possa dare lavoro ai giovani privi ormai di ogni speranza, senza un piano di intervento pubblico nell'economia in settori strategici ed innovativi che il capitale privato disdegna? Qualcuno crede che ciò si possa fare con i fichi secchi e non invece con un massiccio intervento finanziario? Al di là di qualche incallito neoliberista, e ce ne è tra i new entry della lista di Bersani, nessuno veramente lo crede.
Siccome la patrimonializzazione della ricchezza in Italia è molto maggiore che in altri paesi, o si istituisce una seria patrimoniale oppure si continuerà a pigiare l'acceleratore delle tasse sul lavoro in tutte le sue forme, con conseguenze depressive evidenti. Di questo bisognerebbe parlare. Non tanto di misure estemporanee, ma di una tassazione su tutti i patrimoni immobiliari e finanziari, con opportune franchigie per difendere il piccolo risparmio che ci portino in linea con i paesi più avanzati in Europa. La Cgil aveva avanzato una buona proposta, moderata, ragionevole e proprio per questo incisiva per una patrimoniale comprendente sia gli immobili che i titoli finanziari sopra gli 800mila euro. Ma nessuna delle forze politiche in campo ancora l'ha raccolta, a meno che non lo faccia la lista che fa capo ad Ingroia che in queste ore sta definendo il proprio profilo programmatico.
P.S. Visto che siamo sul filo dei ricordi. Leggo nell'ultima fatica letteraria di Massimo D'Alema, assieme a Peppino Caldarola, che egli ammette di avere sbagliato nel 1998, dopo la caduta del primo Prodi, ad assumere la guida del governo. Avrebbe dovuto lasciare campo a Ciampi. Consola poco sentirsi dare ragione "a babbo morto". Eppure il senno del poi è meglio di quello del mai. Quello che dice ora D'Alema è esattamente quello che il gruppo dirigente di Rifondazione, Bertinotti in testa, gli aveva consigliato di fare.

da Huffington Post

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