di Giuliano Garavini
Aleggia in questi giorni il fantasma di Veltroni e del suo “voto utile” nelle elezioni del 2008. Ancora una volta gli italiani dovrebbero votare Partito democratico 2.0: questa volta materializzatosi in un’alleanza con Sel e con il Partito socialista. Il resto dei voti regalerebbero, secondo i portavoce della teoria, il governo dell’Italia alla coalizione che ancora vede Berlusconi come uomo forte.
Sembra di tornare ad un’epoca in cui tutti credevano che a Bruxelles splendesse sempre il sole e che l’Unione europea fosse una perfetta macchina della felicità. All’epoca in cui le liberalizzazioni erano la via da percorrere e le privatizzazioni l’unico modo per rendere produttivi i servizi pubblici. All’epoca in cui l’unico scontro fra gli schieramenti politici era dato principalmente dal diverso grado di razzismo e di subalternità ai diktat di Bruxelles.
All’epoca in cui la Troika che ha costretto Grecia, Spagna, Portogallo a demolire lo stato sociale e a privatizzare quei simboli di democrazia che sono i sistemi sanitari, era ancora un’entità sconosciuta.
E’ come se non ci fosse stato il lungo “inverno dello scontento” italiano che nel 2010 e 2011 ha portato centinaia di migliaia di cittadini a difesa della scuola e dell’università pubblica; ha visto l’eroica resistenza della Fiom contro la demolizione del contratto collettivo nazionale e per la partecipazione nel luoghi di lavoro; la vittoria nei referendum sull’acqua come bene comune e contro il nucleare; il movimento civico per la rinascita delle più grandi città italiane; la gigantesca manifestazione del 15 ottobre contro l’Unione europea e contro la dittatura dell’1 per cento di istituzioni finanziarie in grado di controllare gli indirizzi politici ed economici del mondo occidentale.
E’ calata poi la cappa dello spread e del suo signore Mario Monti che, con il sostegno di tutto il Parlamento italiano con l’esclusione dell’Italia dei valori, ha reintrodotto le priorità del contenimento della spesa pubblica alla faccia di pensionati, giovani disoccupati, piccole aziende e servizi pubblici.
Si è formata una nuova coalizione di centro-sinistra, investita dal successo delle primarie, che propone l’attenzione al lavoro e alla lotta alla corruzione. Ma non prende posizione sull’articolo 18, sul pareggio di bilancio in Costituzione, non dice una parole sulla necessaria riforma del sistema bancario mentre negli Stati Uniti si propone un nuovo Glass-Steagal Act per separare banche commerciali e quelle investimento, considera plausibile un’alleanza con Monti e non dice una parola su un sistema elettorale che regala le redini del Paese a forze politiche minoritarie. E di fronte alla comprensibile sfiducia di parte del mondo della sinistra nella possibilità che questa coalizione rappresenti autenticamente una svolta e prefiguri un diverso modello di sviluppo fondato sul rifiuto dell’austerità e su maggiore partecipazione, risponde facendo appello al voto utile. Risponde in politichese con il linguaggio del ventennio neoliberista.
Sia detto chiaramente: il voto utile è solo quello che mette in discussione il Fiscal Compact come simbolo di questo euro e di questa Unione europea. Il voto utile è quello che consente per la prima volta ai cittadini europei di esprimersi tramite un referendum sui futuri trattati che diano ulteriori poteri a Bruxelles. Il voto utile è quello a chi nel programma prefiguri chiaramente il rifiuto di ogni ulteriore spesa militare e di spese faranoiche come quelle per la Tav in favore di investimenti nella scuola, nella ricerca, in migliaia di piccole opere dai trasporti locali alla messa in sicurezza del territorio e delle scuole. Il voto utile è contro il nuovo colonialismo che si prefigura in Africa: dalla Libia al Mali. C’è il forte rischio che il resto dei voti saranno utili principalmente ai nuovi parlamentare e a ministri e sottosegretari del futuro Governo. Vedremo i programmi.
da paneacqua.info