Sulla vicenda di Liberazione, il dibattito si va articolando. Ieri, nel corso di una assemblea nella sede del giornale, quattro giornalisti, e compagni, hanno presentato un documento nel tentativo di meglio precisare il loro punto di vista di fronte a resoconti giornalistici (Corriere della Sera) e divulgazioni varie che non rendono piena giustizia del reale perimetro del confronto interno.
In nessun momento si deve rinunciare a cercare la trattativa sindacale, anche nelle situazioni più estreme. C'è una responsabilità di fronte ai lavoratori, nessuno escluso, si tratti dei lavoratori che approvano la linea sindacale, di quelli che hanno dubbi e persino di quelli che manifestano contrarietà. Come siamo stati convinti che la Mrc avesse l'obbligo morale e materiale di riaprire il tavolo delle trattative, così siamo convinti ora che le rappresentanze sindacali (Cdr, Fnsi) debbano fare il massimo sforzo per tenere in vita una trattativa. Ricapitoliamo quanto accaduto: l'editore e la proprietà affermano di non avere risorse per garantire la pubblicazione del quotidiano e il mantenimento del regime di solidarietà da qui al momento in cui si definirà con chiarezza la normativa sui fondi pubblici per l'editoria. Si può (e si deve) controbattere nel dettaglio alle proposte avanzate dalla Mrc per assicurare una sopravvivenza minima della testata in questo intervallo di tempo (una fase transitoria si spera il più breve possibile). Ma non crediamo che sia realistico dubitare della assoluta mancanza di denaro liquido da parte della proprietà per permettersi di mantenere lo status quo ante primo gennaio 2012 per un periodo temporale indefinito. Non assumere questo dato di realtà a monte di qualunque trattativa e di qualunque piattaforma è un errore. Non ci si può sedere al tavolo di una trattativa con un'analisi della realtà sbagliata, a meno di non volersi intrappolare in richieste e obiettivi irraggiungibili nella situazione data. Bisogna assumersi la responsabilità della linea sindacale dinanzi a tutti i lavoratori, nessuno escluso. E bisogna aver cura dell'unità tra i lavoratori garantendo condizioni dignitose di agibilità nelle assemblee e nell'elaborazione delle piattaforme e dei materiali necessari alle iniziative pubbliche. Tutto ciò non è avvenuto, o è avvenuto a intermittenza, col risultato di minare la coesione tra i lavoratori, la credibilità della vertenza e del prodotto e gettando pesanti ipoteche sulla possibilità di lavorare cooperando.
Può andar bene in una fase preliminare l'espediente di non dare per scontata la posizione dell'azienda (e, nella fattispecie, l'ipotesi della necessità della cassa integrazione), ma giunti a questo punto bisogna rimettere in discussione la linea. C'è una frase cult nel film di Kassovitz, L'odio: questa è la storia di un uomo che precipita da un palazzo di cinquanta piani e a ogni piano ripete a se stesso “fin qui tutto bene”. Che se ne parli o meno, c'è una richiesta unilaterale dell'azienda di apertura presso la Regione di apertura dei canali di cassa integrazione. E' meglio continuare a immaginare altri scenari irrealistici e fare finta di nulla oppure trattare condizioni materiali più favorevoli possibili della futura cassa integrazione dei lavoratori? A oggi la distanza tra la proposta di cdr/Fnsi e quella della Mrc riguardo al costo del lavoro ammonta, in termini monetari, a circa 60.000 euro al mese per tutta la durata della fase A. Pensiamo realisticamente che la proprietà sia in possesso di una tale liquidità di capitali? Continuare a insistere su questa richiesta sarebbe fallimentare per due motivi: primo, è irrealizzabile per il fatto che quei soldi nelle casse del partito non ci sono; secondo, perché non ci servirà, purtroppo, a evitare la cassa integrazione, con l'aggravante che alla cassa integrazione ci si arriverà nel peggiore dei modi possibili, senza accordo, senza un paracadute, avendo precluso ogni possibilità di trattare nel merito le condizioni specifiche. A scanso di equivoci: non stiamo incensando la proposta della Mrc. Ma per poterla modificare (e strappare condizioni più favorevoli per i lavoratori) bisogna entrare nel merito, discutere dell'organico necessario a tenere in vita la "fiammella", aumentare quanto più possibile il numero di giornalisti e poligrafici necessario alla fattura di un prodotto sia pure ai minimi termini. E, ancora, inchiodare l'azienda a definire le soglie di risorse e finanziamenti pubblici necessari a tutti i piani industriali che si possano immaginare nella fase B: quotidiano, settimanale, giornale online, radio-web. Senza fare sconti di nessun tipo. Se si apre una trattativa sindacale nel merito si può ampliare la base rappresentativa e contare su un'unità dell'intera redazione. Ma se invece ci si attesta su obiettivi irrealistici e ci si condanna a stare alla finestra (con la conseguenza di far precipitare tutti i lavoratori verso la cassa integrazione senza nessun tipo di paracadute), riteniamo di doverci dissociare senza ambiguità.
A nostro parere si sono inseriti troppi fronti di discussione in questa vicenda che hanno finito con il distogliere attenzione ed energie dal terreno propriamente sindacale. Anziché costruire una piattaforma di rivendicazioni abbiamo sprecato tanto, troppo tempo, a discutere di questioni al momento inutili e “fuori tema”. Che senso ha, mentre si precipita nella cassa integrazione, (è solo un esempio tra i tanti) spostare le lancette dell'orologio all'indietro nel passato e spacciare per un problema attuale il progetto editoriale-politico con cui l'attuale direttore assunse il suo incarico ben tre anni fa? Inoltre, qual è (stata) l'utilità di una defatigante guerriglia quotidiana tra redazione e direttore per marcare il territorio che ha avuto come esito l'estinzione del giornale in pdf, unico segnale di visibilità? A che scopo impelagarsi in astratte distinzioni tra giornale mainstream (eufemismo) e giornale di lotta? Lasciamo stare la consistenza di tesi che attribuiscono a Rifondazione comunista la responsabilità e il progetto di voler chiudere il giornale, come se non esistessero condizioni oggettive di restringimento delle azioni possibili nella situazione data (non di quelle immaginate). Oltre a questo, c'è da rimanere sconcertati per l'oscillazione e la contraddittorietà delle accuse rivolte all'editore, ritenuto artefice di tutto e del suo contrario. Come si può sostenere un giorno che il Prc intende rinunciare pregiudizialmente e volontariamente ai contributi pubblici e il giorno seguente che il Prc vuole ottenere i finanziamenti con ogni mezzo, a costo di ricorrere alle furbizie truffaldine di un Lavitola qualsiasi? Questo non significa che non siano ammesse critiche al partito, al quale torniamo a chiedere di assumere la battaglia per la libertà di informazione come una delle priorità nell'opposizione al governo Monti, ma semplicemente che le critiche – per essere ricevibili - devono appuntarsi su elementi reali e non caricaturali. Sparare ogni volta contro un obiettivo diverso, ora il partito, ora il direttore, ora l'amministrazione, non produce altro che confusione all'esterno. Chi ci segue e ci osserva dal di fuori non capisce più nulla. La comunità dei militanti è disorientata. Secondo, anziché favorire un atteggiamento coeso della redazione questi giudizi sommari alimentano divisioni tra noi. Non siamo disposti a seguire o assecondare questo atteggiamento. Terzo, proprio nel momento in cui dovremmo essere capaci di produrre il massimo di visibilità e di iniziative esterne per raccogliere contributi, solidarietà e sottoscrizioni, ci rendiamo al contrario artefici di una pubblicità negativa. Non si tratta di occultare la verità, come è stato ribattuto in questi giorni a chi non riusciva a rispecchiarsi nelle condotte di parte dell'assemblea, ma di costruire le condizioni per un futuro senza narcisismi, senza intolleranze, senza discriminazioni. L'immagine che diffondiamo di noi stessi è talmente penosa da bloccare sul nascere campagne a sostegno del giornale. A chi giova? Con tutta franchezza, in questo atteggiamento non vediamo nulla di costruttivo, bensì soltanto una pulsione autodistruttiva che non risparmia nessuno. Neppure coloro che la mettono in atto.?
Tonino Bucci, Checchino Antonini, Vittorio Bonanni, Fabio Sebastiani