120212cappelloniQuesta mattina ci ha lasciato il Compagno Guido Cappelloni, qui di seguito un recente articolo su di lui, scritto da Maria Rosa Calderoni.

Sarà pure comunista, ma è dolce, un sorriso mite, il solito modo affabile col quale ti saluta ogni volta che lo incontri, anche a distanza di anni. Comunista e gentiluomo. Guido Cappelloni, un testimonial della nostra storia, qui al suo Ottavo Congresso. Lui li ha fatti tutti. Testimonial sarà lei, più che altro un protagonista.
Guido se lo ricorda bene, come andò. Guido, lui, è uno dei fondatori di Rifondazione Comunista, uno degli storici “7″ («c’eravamo Cossutta, Garavini, Libertini, Bianca Bracci Torsi, Ersilia Salvato, Rino Serri ed io»).
Marchigiano, laureato in giurisprudenza, Guido oggi vive a Grottammare, provincia di Ascoli Piceno. Ha i suoi begli anta, e se gli chiedi, dimenticando a bella posta i suoi anni e la malattia che l’ha colpito, «ma tu adesso che fai?», lui ti guarda col sorriso che da mite diventa ironico (no, non sono in pantofole, se vuoi sapere): «Faccio cose. Partecipo». Frequenta il suo Circolo di Grottammare; è presidente del Comitato politico della Federazione di Ascoli Piceno.


Alla faccia dell’anagrafe, “Partecipo” è la parola che gli riesce meglio; infatti Guido è uno di quei tipi che “partecipano”; lui lo fa da sempre, da quando era piccolo.
“Partecipa”. Fa cose. «Mi hanno chiesto di raccontare la storia del Prc, una relazione, un compendio per i giovani e ho accettato». Fa cose.
Mentre nella sala gremita qui all’Oltremare va avanti il dibattito, Guido Cappelloni in questo nostro piccolo break sui divanetti dello stand di Liberazione, ha un momento di “nostalghia”. «Lo sai? Mi viene in mente che in quel periodo lì, tra il 45 e il 53, io sono stato felice. Forse è stato uno dei periodi in cui mi sono sentito più felice. Perché ci credevo, credevo che stavo combattendo per cambiare il mondo».
Un tipico caso di comunista «felice di esserlo»? Cioè la sua vita, “tutta” la sua vita. Appena laureato, nemmeno vent’anni, si trova a far pratica professionale nel rinomato studio di Tito Alessandrini, avvocato e socialista famoso di Ascoli . «Era noto, popolare, faceva comizi seguitissimi. Ne ricordo uno, sarà stato il ’48, che aveva come tema “Noi, l’Europa, il mondo”; già, andrebbe benissimo anche oggi». Tito Alessandrini, lui «che per me fu un buon maestro».
Per Guido però ci fu un solo partito, uno solo e sempre quello: Pci. Si chiamava Pci. Vent’anni e già “ghermito” dalla passione per la politica a tempo pieno; il prestigioso studio viene lasciato, la laurea appesa al chiodo, («però quel “dr.Cappelloni” ci faceva fare un sacco di bella figura nei nostri manifesti»), meglio calarsi giù tra la gente, a darsi da fare per la “Futura Umanità” («come oggi, appunto»). Lavoro politico a tutto campo, tra i giovani, tra il popolo, ovunque (li chiamavano i “Costruttori del Partito”), una specie nuova di combattenti-sognatori in campo nel nome della giustizia sociale e del progresso umano. «Ascoli non era una provincia operaia. C’erano i contadini, i mezzadri; e noi qui fin dai primi momenti ci siamo sempre impegnati certo per il miglioramento delle condizioni di vita, ma anche per l’istruzione, contro l’analfabetismo, l’ignoranza, la bassa scolarità diffusa. Sì, proprio quello, falce martello e libro. Dovete studiare, inncitavamo, dovete far studiare i vostri figli; se siete analfabeti, non potete leggere nemmeno il contratto e il padrone vi fregherà sempre».
Fu bello. E «io ero felice». Nel giro di dieci anni, «ci furono forti miglioramenti nelle nostre campagne, con sempre meno servi della gleba e sempre più cittadini». Cittadini ben orientati, a quanto pare. «I risultati si videro alle elezioni, il Pci dal 30 al 50 per cento». E fu bello, bellissimo, «vedere parecchi di quei nostri paesi diretti – e bene – da sindaci contadini».
A tempo pieno, è anche il cursus di Guido. Nel ’56 segretario della Federazione di Ascoli; poi segretario regionale delle Marche («avevamo 50 mila iscritti e un Pci che prendeva il 40 per cento»); l’elezione al Comitato Centrale; quindi, giusto nel ’68, Botteghe Oscure, Direzione nazionale, collaboratore di Giorgio Napolitano (col quale, dice, «non riuscii a legare molto», nonostante i buoni uffici di Amendola). Seguono i lunghi anni di lavoro con Cossutta, sempre alle Botteghe; e poi, nel 76 e nel 79, due volte da deputato.
L’”amendoliano” Cappelloni. «Ma poi Cossutta ed io nell’81 ci schierammo dalla parte di Jaruzelski e del POUP al tempo della crisi polacca»; cominciava quella battaglia che venne chiamata “contro lo strappo” (dall’Urss). «Durante il XVI congresso, a Milano, io e Cossutta fummo duramente criticati per questa posizione e ricevemmo, con voto segreto, un centinaio di cancellature».
E venne lo scontro finale. La Bolognina. Rimini. Gli ultimi nostri vent’anni, tutti targati Prc. Membro della Segreteria nazionale, Tesoriere (fino al ’95, quando viene sostituito da Claudio Grassi), ora fa parte del Comitato politico nazionale. «Sono qui». Guido che non è più il “cossuttiano” che dicevano. Non lo è più da un bel pezzo. «Gli scontri con Cossutta si fecero sempre più aspri; e si capisce, ero a capo della corrente che non voleva Bertinotti segretario».
Tanti anni, tanti ricordi, tanti congressi. Il tempo è passato; la Futura Umanità è in stand by; la lunga storia con Sandra è diventata solo una bella amicizia e i suoi compagni di sempre gli sono vicini («ho avuto tanto affetto anche in questi mesi di malattia). E continua a «fare cose». Ride quando glielo domando: no, «non sono diventato ricco. Ai miei tempi si versava il 50% dello stipendio di deputato al partito».
Congresso numero 8. «Io sono qui». Comunista. Felice di esserlo stato. Felice di esserlo.

Maria R. Calderoni - Liberazione

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