Di Alfio Nicotra

La ricetta che il Ministro ammiraglio Giampaolo Di Paola, ha illustrato questa mattina alle commissioni difesa congiunte di camera e senato i può sintetizzare in "meno stipendi ma più armi". Dopo anni di crescita del bilancio della difesa il governo è stato costretto a rimettere mano al solo settore passato fino ad oggi indenne dai tagli alla spesa pubblica...

Lo "Bisogna ridurre lo strumento difesa - ha detto il ministro che per anni da Ammiraglio è stato direttore generale degli armamenti del Ministero della Difesa – e ricalibrare il personale. Ridurre il personale e recuperare risorse per l'operatività' e gli investimenti". Attualmente lo strumento militare e' di 183mila militari e 30mila civili. "Dovremmo progressivamente scendere a 150mila militari e 20mila civili. Cioè 43mila unità in meno, il 20%, rispetto alle dimensione attuale". La Difesa, a malincuore e costretta da una forte campagna di opinione ormai trasversale, ridurrà da 131 a 90 il numero dei caccia Joint Strike Fighter, i cosiddetti F35, che acquisirà, con un taglio di 41 unità. Una buona notizia ma non quanto sarebbe necessario. Infatti la Gran Bretagna ha rinunciato a quello che viene definito il più costoso caccia della storia dell'aeronautica mondiale e che invece Di Paola si ostina a definire "il miglior velivolo in linea di produzione, nei programmi di ben 10 Paesi". L'Italia, ha aggiunto, "ha gia' investito 2,5 miliardi. Ci eravamo impegnati ad acquistarne 131, ora il riesame del programma ci porta a ritenere perseguibile l'obiettivo di 90 velivoli, un terzo in meno". Ma sono così fondamentali questi F35? La Gran Bretagna, come dicevamo, ha preferito pagare la penale ed ammodernare i suoi Tornado piuttosto che infognarsi in un progetto i cui costi sono destinati a lievitare su un caccia dove lo stesso Pentagono ha individuato ben 120 difetti da correggere nella progettazione. Insostenibile da un punto di vista economico non è vero, come invece sostiene il Ministro, che si porta dietro migliaia di posti di lavoro. Per il momento all'Italia è affidato solo l'assembramento delle ali nello stabilimento dell'Alenia di Torino per un impiego certo di 600 lavoratori : un inezia se contiamo la mole di denaro pubblico investito. In più l'Italia è tagliata fuori dall'aspetto più interessante .- da un punto di vista industriale e militare – del JSF, cioè la parte elettronica. Questa componente sarà in mano esclusiva degli Usa che hanno negato all'Italia il codice sorgente cosi che per ogni ammodernamento o guasto dell'apparato elettronico l'Italia sarà dipendente per tutta la vita operativa degli F35, dagli Usa. Riguardo le strutture delle forze armate, l'obiettivo, ha annunciato ancora il ministro, e' quello di ridurle del 30 per cento in 5-6 anni". Una misura "che consentirà di contribuire alla ristrutturazione della Difesa e più in generale al risanamento finanziario del Paese". C'è una polpetta avvelenata anche in questo progetto. Infatti la scure si abbatte su 10mila dipendenti civili della difesa che non sappiamo che fine faranno. Sia la Cgil/difesa che la USB/difesa sono giustamente in allarme, Infatti il taglio dei dipendenti pubblici è una delle richieste presenti nella famosa lettera della Bce. Il rischio di licenziamenti di massa può propagarsi rapidamente ad altri comparti civili del pubblico impiego. Per Rifondazione Comunista i tagli annunciati alle spese militari non sono sufficienti e non sono supportati per esempio da alcuna politica di riconversione in produzioni civili dell'industria bellica con il rischio di fortissime tensioni sociali. Il programma dei caccia F35 e la seconda portaerei in costruzione che dovrà "ospitare" questi aerei dovrebbe essere cancellato per intero. E' insostenibile da un punto di vista finanziario ma anche da un punto di vista costituzionale. Infatti sono strumenti militari atti a colpire lontano dal territorio nazionale, ovvero non hanno alcuno scopo di difesa ma hanno c la sola funzione di esportare quella guerra che l'art.11 dichiara solennemente di ripudiare come offesa alla libertà degli altri popoli e come strumento per la risoluzione delle controversie internazionali.

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