di Bruno Steri
Ha destato qualche clamore l'intervista concessa dal presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi al Wall Street Journal: in realtà, non c'è molto da...
sorprendersi. All'indomani di una fatidica riunione che il Consiglio europeo tenne il 9 maggio 2010 – quando si era già nitidamente profilato l'attacco all'euro – il Washington Post titolava: "Il Welfare europeo, il più generoso modello sociale del mondo, ha i giorni contati". Anche il nostro Corriere della Sera titolava a tutta pagina: "Abbattimento del Welfare socialista". In effetti, quel Consiglio europeo sanciva il prevalere degli orientamenti "rigoristi" promossi dalla signora Merkel. Non c'è quindi da stupirsi se oggi Draghi conferma che "il pregiato modello sociale ed economico dell'Europa è obsoleto" e che alle politiche di austerità non c'è alternativa. Il progetto era quello: detto fatto.
Verrebbe da chiedere al presidente della Bce: quando non molto tempo fa era responsabile del Financial Stability Board (l'organismo insediato a suo tempo dal G20 e incaricato di sovrintendere alle autorità di vigilanza bancaria e di controllo dei mercati), cosa è riuscito a spuntare nei confronti del potere finanziario capitalistico, responsabile della crisi planetaria deflagrata dal 2007 in poi? Ben poco, a giudicare da quello che lui stesso diceva. La grande paura aveva infatti spinto più d'uno a sollecitare una "regolamentazione" del sistema finanziario: stretti vincoli al mercato dei prodotti derivati, regolamentazione degli hedge fund (i fondi corsari a caccia di speculazione), lotta senza quartiere ai "paradisi fiscali", fine del conflitto d'interessi implicito nel funzionamento delle agenzie di rating, imposizione di un tetto agli stipendi dei manager, contenimento della dimensione bancaria. A metà gennaio del 2010, Draghi convocava d'urgenza banchieri centrali e rappresentanti delle più grandi banche internazionali private, preoccupato del fatto che proprio l'ingente liquidità già allora profusa dalle autorità monetarie a tassi vicini allo zero per arginare il collasso del sistema, anziché riavviare la macchina produttiva stesse riattivando le propensioni speculative. "Il potere degli interessi costituiti si sta rafforzando", confessava Draghi al Sole 24 ore l'8 gennaio 2010.
E' cambiato qualcosa da allora? Direi di no. La Bce di Mario Draghi inonda di liquidità le banche private (490 miliardi concessi ad un tasso dell'1%) ma il flusso di risorse non rifluisce verso l'economia reale e serve unicamente ad incrementare gli attivi bancari. L'attuale presidente della Bce si è adattato comodamente agli schemi (e agli interessi) della tecnocrazia finanziaria. In quest'ottica, viceversa, per i poveri cristi non "c'è alternativa": austerità e rigore. O, detto in altri termini, socializzazione delle perdite: paghino la crisi i soliti noti. Noi comunisti diciamo: la crisi pagatevela voi.