di Luigi Manconi
L'attuale disciplina del consumo, della produzione e del traffico di sostanze stupefacenti è contenuta essenzialmente nel decreto del Presidente della repubblica n. 309 del 1990.
Il testo originario del D.P.R. si fondava, in sostanza, sulla configurazione come illecito amministrativo della detenzione di sostanze stupefacenti in quantità non superiore alla 'dose media giornaliera': parametro che aveva sostituito quello della "modica quantità" previsto dalla precedente (legge 685/1975).
Tale parametro (determinato con decreto ministeriale) fissava quindi il limite tra la detenzione (comunque illecita, ma) rilevante solo dal punto di vista amministrativo e la detenzione rilevante penalmente.
Parallelamente agli illeciti amministrativi, il testo unico configurava quali delitti puniti con pene tra le più elevate previste dall'ordinamento, comportamenti di vario tipo connessi alle droghe, tra cui la produzione e il traffico illeciti (puniti con la reclusione da 8 a 20 anni nel caso di droghe pesanti!) e l'associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, per cui erano (e sono) previste sanzioni addirittura più elevate di quelle stabilite per le associazioni di stampo mafioso. Le condotte delineate come illeciti erano poi diversamente sanzionate a seconda che avessero ad oggetto droghe pesanti o leggere, comprese in tabelle diverse.
La disciplina mutò una prima volta con il referendum abrogativo del 1993, che tra l'altro escluse la competenza dell'autorità giudiziaria nei casi di recidiva nella detenzione di sostanze stupefacenti per uso personale e, soprattutto, soppresse il riferimento alla "dose media giornaliera" quale criterio dirimente tra la rilevanza penale e quella meramente amministrativa della condotta. Si riteneva infatti irragionevole ancorare la rilevanza penale di condotte, quali la detenzione, correlate all'area del mero consumo di droga, a un rigido parametro quantitativo predeterminato con un atto amministrativo generale quale il decreto ministeriale.
Di conseguenza, la disciplina di risulta, vigente fino al 2006, configurava quale mero illecito amministrativo la detenzione (oltre che l'importazione o l'acquisto illeciti) per uso personale di sostanze stupefacenti mentre l'assenza di tale finalizzazione conferiva rilevanza penale agli stessi comportamenti. Di qui l'esigenza di accertare, nel caso concreto, se, in particolare, la detenzione di sostanze stupefacenti fosse finalizzata al mero uso personale o, invece, se esse fossero destinate a terzi e tali, dunque, da far presumere la finalità di spaccio.
Questa disciplina è stata significativamente modificata nel 2006, quando, con un emendamento inserito nel corso dei lavori per la conversione in legge del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272 (peraltro riguardante le Olimpiadi invernali), si sono introdotte delle modifiche al testo unico stupefacenti di dubbia legittimità costituzionale e poco compatibili con l'esito del referendum abrogativo del 1993.
In particolare, le novità apportate dal decreto-legge (come convertito dalla l. 49/2006) riguardano i seguenti aspetti:
- l'assimilazione, ai fini sanzionatori, delle «droghe leggere» a quelle «pesanti»: tutte le sostanze stupefacenti o psicotrope (dall'oppio, alla cocaina, alla cannabis alle anfetamine) sono cioè ricomprese in un'unica tabella, mentre in un'altra tabella si trovano i medicinali regolarmente registrati in Italia contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope, di cui la legge vieta (sebbene con pene minori rispetto a quelle previste per le sostanze "vietate") l'abuso o comunque il consumo, la produzione, l'acquisto, la cessione, ecc., senza autorizzazione o prescrizione medica;
- la «normativizzazione» dei parametri (di natura meramente indiziaria), sino ad allora utilizzati dalla giurisprudenza, per desumere la destinazione a terzi delle condotte quali acquisto, importazione e detenzione (oggi ampliate fino a comprendere anche "esportazione" e "ricezione a qualsiasi titolo"). La norma prevede, quindi, quali criteri indiziari dai quali desumere la finalizzazione della condotta, la quantità di sostanza (con particolare riguardo al caso in cui essa superi i limiti massimi stabiliti con decreto ministeriale), le modalità di presentazione (e segnatamente il frazionamento) ovvero altre "circostanze dell'azione" da cui possa desumersi la destinazione ad uso non esclusivamente personale della sostanza stessa;
- un significativo inasprimento delle pene, dovuto non solo alla parificazione, ai fini sanzionatori, delle droghe leggere a quelle pesanti, ma anche all'estensione delle condotte penalmente rilevanti, tra cui si ricordano quelle relativa all'illecita produzione o commercializzazione delle sostanze chimiche di base o dei precursori utilizzati nella produzione delle droghe, nonché della detenzione di medicinali contenenti sostanze psicotrope in assenza di prescrizione medica (fattispecie, queste ultime, ulteriormente estese, nel loro ambito di applicazione, con il d.lgs. 150/2011).
I profili di maggiore criticità della disciplina attuale sono, essenzialmente, i seguenti.
In primo luogo, l'assoluta irragionevolezza dell'assimilazione, ai fini sanzionatori, delle condotte aventi ad oggetto droghe leggere e droghe pesanti, che meriterebbero invece una differenziazione proporzionale al grado di pericolosità e dannosità delle diverse sostanze, come era previsto fino al 2006.
In secondo luogo, la sostanziale elusione del risultato del referendum del 1993, mediante la reintroduzione del criterio quantitativo quale criterio indiziario della finalità di spaccio e, dunque, quale parametro dirimente tra la rilevanza penale e quella meramente amministrativa delle condotte non caratterizzate di per sé dalla destinazione a terzi. La previsione attuale è peraltro irragionevole in quanto non solo non contempla alcun correttivo in grado di tener conto del grado di dipendenza (e dunque di tolleranza) del soggetto dalla sostanza, ma non contiene neppure riferimento alcuno a parametri temporali (quali invece il carattere giornaliero della dose media o il quantitativo massimo settimanale previsto, ad esempio, in Austria) che consentano di accertare l'effettiva finalizzazione della droga detenuta.
Inoltre, l'ulteriore inasprimento sanzionatorio, realizzato principalmente attraverso l'estensione delle condotte penalmente rilevanti, che contribuisce a rendere quello degli stupefacenti uno dei settori della legislazione penale maggiormente caratterizzati da un uso strumentale, simbolico e congiunturale della pena (si pensi che la mera partecipazione ad un'associazione finalizzata al traffico di stupefacenti è punita, di per sé sola, con la reclusione non inferiore a dieci anni, mentre la pena prevista per la partecipazione a un'associazione di tipo mafioso è la reclusione da sette a dodici anni!). Si consideri del resto che il testo unico prevede una serie di delitti collaterali e prodromici non solo allo spaccio, ma addirittura al consumo di droghe, quali l'agevolazione dell'uso di sostanze stupefacenti o psicotrope, l'istigazione, il proselitismo e l'induzione al reato di persona minore nonché, infine, l'abbandono di siringhe.
Tale tendenza all'inasprimento sanzionatorio in questo settore contrasta peraltro con gli indirizzi seguiti nei principali Paesi europei, ove prevalgono politiche volte alla riduzione del danno e alla regolamentazione, nella convinzione che lo strumento penale, nel campo delle dipendenze, quando non addirittura dannoso sia comunque inefficace.
Per altro verso, il testo unico prevede tuttora, nei casi di "particolare tenuità" dell'illecito amministrativo, la possibilità per il prefetto di non irrogare (per una volta) la sanzione amministrativa, in presenza di elementi tali da far presumere la futura astensione del soggetto da simili comportamenti. In ogni caso, è prevista la revoca di ogni sanzione nel caso di piena attuazione del programma terapeutico e riabilitativo cui il soggetto abbia volontariamente aderito e, al contrario, l'applicazione di sanzioni penali in caso di inottemperanza.
Qualora, invece, fossero ravvisati gli estremi dell'illecito amministrativo (ad es. per detenzione di sostanza stupefacente in dose comunque non eccedente i limiti stabiliti con decreto ministeriale), il prefetto può irrogare sanzioni quali, in particolare, la sospensione della patente di guida, della licenza del porto d'armi o il divieto di conseguirlo, del passaporto e dei documenti equipollenti o, se si tratta di cittadino straniero, la sospensione del permesso di soggiorno per motivi di turismo o il divieto di conseguirlo (tali previsioni sono state ulteriormente rafforzate dalla legge 94/2009, c.d. pacchetto sicurezza e dalla l. 38/2010). Nel suo complesso, un quadro normativo terribilmente restrittivo e penalizzante, gravemente irragionevole e, per certi versi, fin ottuso, totalmente incapace di qualunque funzione anche solo minimamente preventiva.
Da zeroviolenzadonne.it 13 marzo 2012