di Lucio Manisco
A cento giorni dall'insediamento è mai possibile che battute quali "anche Henri Landru sarebbe stato meglio del vieux souteneur di Palazzo Grazioli" siano sufficienti a spazzar via nel mondo accademico, politico o di un più generico nozionismo culturale ogni analisi critica, fattuale dell'operato del prof. Mario Monti, dei suoi trascorsi prima, durante e...
dopo il decennio alla Commissione Europea, di questa sua ossessiva e severa sindrome ultraconservatrice che al di là di ogni travestimento dottrinario fa strame del bene pubblico e persegue deliberatamente il modello greco, come recital'Appello agli Intellettuali Europei che segue queste note?
E' possibile ed è quanto mai opportuno farsene ragione cercando di comprendere il metodo seguito per realizzare in un così breve lasso di tempo una catarsi eversiva e paralizzante di tali dimensioni.
Parliamo del metodo che ha prevaricato la sostanza - la crisi, grave, gravissima i cui responsabili sembrano decisi ad esasperarla fino alle ultime conseguenze, all'ultimo profitto, all'ultimo euro, al consolidamento dell'ultimo privilegio.
Il governo Monti è il governo della paura, nato e cresciuto in una paura programmata su tassi quotidiani di sofferenza esponenziale ed espiatoria.
Dopo tutto fu John Adams, uno dei padri della repubblica stellata, ad asserire per primo che la paura è il fondamento di ogni governo e dovettero trascorrere 157 anni prima che Franklin Delano Roosevelt invertisse in termini salvifici l'assioma degli Adams e dei Monti: "L'unica cosa di cui dobbiamo aver paura è la paura stessa".
Altri tempi, altri uomini: l'America degli anni '30, l'America della grande crisi non era dominata dal fondamentalismo religioso che oggi la pervade e che pervade anche l'Italia. La paura - della morte, dell'inferno e di altre immaginarie punizioni divine - è stata pure sempre il martello perforatore impiegato dalla chiesa nei cervelli dei fedeli per rafforzare il potere temporale della teocrazia più assoluta e duratura della storia. Da tre mesi a questa parte nella nostra repubblica, definita laica e democratica dalla Costituzione, stiamo assistendo ad una congiunzione astrale tra le due paure, accompagnata dall'adozione di comportamenti e riti più liturgici e misterici che laici e democratici.
Ricordiamo tutti che ad intonare per primo un adeste fideles su coesione, abbassamento dei toni, auspicabile trasformazione in conclave di un parlamento illuminato dallo spirito santo era stato il beneamato presidente della repubblica, già immortalato in una vignetta di Enzo Apicella come un pellerossa con un variopinto cimiero di penne stilografiche. Dopo averle usate su richiesta per ben due anni Giorgio Napolitano, folgorato sullo spread alle stelle dai sorrisetti dei colleghi europei, ha preso il coraggio a due mani e ha unto senatore a vita il sodale di Bruxelles Mario Monti. Ventiquattro ore dopo il venite adoremus del Parlamento e la sostituzione di un Berlusconi in stato confusionale con l'operoso presidente della Bocconi.
Perché proprio lui e non un altro "tecnico", magari più competente in materia di amministrazione della cosa pubblica? Affinità ideologiche, indubbiamente; amichevole e reciproca solidarietà che risale all'anomala riconferma ad un secondo mandato di Napolitano a presidente della commissione istituzionale del Parlamento Europeo, certo; ma sicuramente nessuna baggianata come il presunto complotto Goldman Sachs, Trilaterale, Bilderberg & Co.
E' surreale pensare a complotti tra personaggi che condividono un'impressionante identità di vedute sull'opportunità di liquidare una volta per tutte lo stato sociale e limitare con l'acquiescenza di una politica screditata le funzioni parlamentari e il ricorso ai consulti elettorali con la benedizione naturalmente di Santa Romana Chiesa (in tre mesi il Monti è andato a farsi benedire tre volte dal Ratzinger e chi ancora crede alla tristanzuola messa in scena IMU-ICI sui beni "profit" della chiesa ignora che l'abrogazione del falso in bilancio è tuttora in vigore nel regime austero e dell'equità del prof. Monti - dopotutto "equity" in inglese vuol dire "stock azionario".
Né risulta che tra i potenti e i ricchi della terra, sull'una e sull'altra sponda del Tevere, esista alcuna condivisione dell'interesse del cammello nella cruna dell'ago. La classe operaia può andare tranquillamente in paradiso.