di Giacomo Russo Spena
In piazza con la Fiom ci saranno i No-Tav, non il Pd. Autolesionismo. Non c'è altra parola per definire un partito allo sbando come quello di Pierluigi Bersani. Una forza sempre più lontana dalle ragioni della sinistra e in preda ad una resa di conti interna di proporzioni gigantesche.
Solo negli ultimi due giorni: prima la vittoria dell'outsider Fabrizio Ferrandelli alle primarie di Palermo, subito dopo la decisione della segreteria di disertare la manifestazione della Fiom di venerdì prossimo. Stefano Fassina che prima aveva pensato di scendere in piazza, ora dice: "Pur condividendo alcuni punti di fondo della piattaforma, non andrò perché il corteo ha cambiato segno anche per l'annunciata adesione dei no Tav". Come lui Matteo Orfini e Nicola Latorre. La componente più socialdemocratica del partito fa una repentina retromarcia.
Il motivo – ufficiale – sarebbe la presenza sul palco di San Giovanni di Sandro Plano, presidente della comunità montana della Val Susa, volto della componente più moderata dei No-Tav e soprattutto (udite, udite) ex sindaco di Susa. Con quale partito? Ovviamente del Pd! Quindi Fassina non scenderebbe in piazza perchè dal palco parlerebbe un suo "compagno" (si può dire?) di partito. Che altro aggiungere, senno che la ragione della diserzione sia altra. E più grave di quanto si pensi.
La verità? Bersani – e la sua componente tra cui milita Fassina – non gestisce più il partito e soprattutto sta fallendo il suo progetto di dare al Pd una sembianza stile "labour party". Il segretario ha provato, infatti, a dare una svolta (in realtà molto timida) socialdemocratica ai "democratici" riponendo il tema del lavoro tra i punti principali da cui ripartire. E da qui la scelta di dare a Fassina il compito di responsabile economico. Anche la foto di Vasto – l'alleanza con Idv e Sel – andava in questa direzione. Ora tutto in soffitta.
Da quando il presidente Napolitano ha commissariato il Pd imponendo l'appoggio incondizionato al governo Monti e all'austerity imposta dall'Europa, sono iniziati i tempi duri per Bersani e le politiche "laburiste" a vantaggio delle correnti centriste, dell'evergreen Walter Veltroni e delle politiche liberiste.
Subito dopo l'esito delle primarie di Palermo, Enrico Letta chiedeva anche a livello nazionale un'intesa col Terzo Polo. La componente cattolica del Pd, idem. Mentre la corrente montiana assume nel partito maggiore forza e peso politico. Ora dopo ora. E allora ecco spiegata la tirata d'orecchie a Fassina&Co. Bersani non è più in grado di gestire il partito incassando solo sconfitte e dissapori.
Si delinea un Pd lontano dalle istanze sociali (in questo caso dai temi del lavoro), dai movimenti e prossimo alle aree più moderate del Paese. E se a questo aggiungiamo gli infiniti attriti interni e la base sempre più arrabbiata coi vertici e le decisioni di un partito ormai snaturato... l'autolesionismo è cosa fatta. Questa volta ci siamo definitivamente giocati il Pd?
Da Micromega.it, 7 Marzo 2012