di Linda Santilli
Un mazzetto di mimose, un po' di frasi fatte e di retorica, ed apriamo le danze per l'8 marzo anche quest'anno? No davvero.
Le donne non hanno nulla da festeggiare.
Il patriarcato non è morto in Oriente e non è morto in Occidente. Anzi mostra la sua vigorosa tenuta nuotando nel mare della crisi del capitalismo nel mondo globalizzato, sferrando i suoi colpi sulla parte femminile dell'umanità più che mai, al punto che sulle donne finiscono per addensarsi tutte le contraddizioni più esplosive della nostra epoca, e dunque tutte le ragioni più autentiche di un bisogno di cambiamento radicale dell'esistente. Nulla da festeggiare. Piuttosto tentare di recuperare il senso profondo originario di questa giornata come momento di riflessione, lotta e visibilità. Sottrarla, per quanto possibile, dalla banalità, affinchè i riflettori siano puntati sulla parte della scena comunemente oscurata – la vita delle donne - e provare a capire come va il mondo a partire da lì. I numeri sono freddi ma aiutano. Sono noiosi e svelano solo parzialmente, ma aiutano.
Ebbene anche gli ultimi dati emanati da vari istituti e centri di ricerca (Istat, Isfol, Cnel), sono scandalosamente chiari mettendo a nudo quella asimmetria ancestrale nel rapporto tra i generi profonda e resistente, in Italia più che altrove, che la politica non sa vedere, non vuol vedere.
Oltre al dato persistente del numero delle donne violentate e uccise ogni giorno per mano maschile per lo più in famiglia, c'è da dire che nel quadro drammatico di una crisi che ci parla di riduzione all'osso dei diritti, delle tutele, dell'occupazione, dei redditi, dei servizi, le donne si collocano sempre all'ultimo gradino della scala. Sempre. Che si parli di pensioni al minimo, di disoccupazione soprattutto al sud, di redditi bassissimi, di lavoro precario e mal pagato, di diritti calpestati, di mobbing, di morti sul lavoro, di sfruttamento di migranti, di accesso nelle cariche pubbliche e nelle carriere, le donne sono giù in fondo, oppure su in testa a tutte le classifiche a ribasso: svantaggiate, si legge, nonostante la loro scolarizzazione sia più elevata.
Perché questi dati non fanno scandalo? Perché la politica tace?
Tornando ai numeri, abbiamo detto che per comprendere un contesto essi non sono sufficienti. C'è infatti un piano non matematicamente riducibile che dice di una cornice culturale e antropologica potentissima, fatta di stereotipi sessisti che hanno la forza di riprodursi e diventare senso comune. Di questa potenza Berlusconi è stato un grande esempio, con la pretesa di forgiare i nostri immaginari con le sue esibizioni sessuali. Ma quella pretesa non è sparita con lui.
Il suo successore Monti, attraverso una estetica ostentatamente opposta, quella del rigore e della austerità, attacca le donne con la stessa violenza, sia sul piano materiale che simbolico.
Sul piano materiale attraverso le manovre del Governo, che colpiscono e colpiranno soprattutto le donne, basti pensare all'aumento dell'età pensionabile e ai tagli dello stato sociale.
Sul piano simbolico fomentando un immaginario speculare a quello del Cavaliere: le donne si dividono in sante e puttane, madri di famiglia e prostitute, secondo l'antico modello patriarcale. La descrizione del menage famigliare di casa Monti e del ruolo della moglie del presidente tra le mura domestiche, riportata un paio di mesi fa sulle pagine dell'Unità (4 gennaio), quale altro messaggio voleva rimandare al paese se non che le donne devono tornare in casa ad occuparsi di figli e mariti? Che non serve lo Stato ad investire soldi per i servizi perché ci sono le donne a svolgere ora e sempre il lavoro di riproduzione gratuitamente?
Dunque colpi duri prima, colpi durissimi adesso, nella nuova era dell'austerità e dei conti che devono tornare a tutti i costi, sulla pelle dei soliti noti, e come sempre con un surplus di accanimento sulla pelle delle donne.
Non c'è da brindare quindi, perché il nuovo che avanza sarà peggiore del vecchio, se possibile. E perché la strada che le donne hanno davanti è tutta in salita e molto lunga da percorrere.
Occorrerebbe rilanciare un grido di libertà femminile. Dare uno scossone. Svelare ciò che oggi ancora più di ieri è nascosto nelle maglie di una narrazione falsa che chiede sacrifici per non risolvere le ingiustizie e le diseguaglianze che esistono ma per consolidarle ed acuirle.
Le donne in passato hanno saputo incendiare il mondo di protagonismo e passione, irrompendo sulla scena e lasciando – su quella scena - un segno indelebile di cambiamento. E' questo è il patrimonio da cui partire. Ed è solo a questo lungo tratto di strada già percorso, ed alla rivolta necessaria delle donne che oggi varrebbe la pena brindare.
Roma, 8 Marzo 2012