di Alfonso Gianni
Ci sono due numeri che costituiscono una vera ossessione per questo governo e la sua maggioranza. Si tratta dell'1 e dell'8. Separati appaiono innocenti, ma se li componete assieme ottenete il 18 e l'81, ovvero l'articolo 18 dello Statuto dei ...
Lavoratori e l'articolo 81 della nostra Costituzione. Entrambi sono sotto schiaffo, il primo è al centro della trattativa sul mercato del lavoro tra le parti sociali e il governo, il secondo sta per essere modificato in quarta lettura dal Senato, ove se otterrà la maggioranza dei due terzi, diventerà parte integrante della Costituzione senza possibilità di ricorrere a un referendum popolare.
Con il primo viene perseguita la libertà di licenziare per i datori di lavoro, con il secondo si impedisce allo Stato qualunque spesa sociale che ecceda la parità di bilancio, fra le entrate e le uscite annuali. Entrambi quindi costituiscono le colonne portanti di una nuova e ulteriore curvatura in senso neoliberista delle politiche economiche delle classi dominanti. Tutte e due limitano drasticamente l'esercizio dei diritti fondamentali – come quello al lavoro – e democratici, nel primo caso spostando l'asse dalla parte del più forte nei conflitti di lavoro, nel secondo caso togliendo una prerogativa indispensabile per un governo in una società democratica, quello di decidere e attuare una politica economica che non sia quella di seguire pedissequamente gli interessi dei mercati privati.
La posta in gioco in questi giorni è quindi alta. Sarebbe un eufemismo dire che il centrosinistra non la affronta nel modo adeguato. Nel primo caso, quello dell'articolo 18, il Pd spinge la Cgil a un accordo sulla base del cosiddetto modello tedesco che limiterebbe al solo indennizzo economico la penale per licenziamenti economici (ma quali, soprattutto in fase di crisi, non lo sono?), mentre metterebbe nelle mani del giudice la decisione se ricorrere al reintegro o al risarcimento monetario in caso di licenziamenti disciplinari. In ogni caso quindi, sia che ci sia l'accordo con tutte e tre le organizzazioni sindacali, sia che questo non ci sia con tutte e che il governo proceda per conto suo, come ha già ripetutamente dichiarato di volere fare in questa circostanza, quello che era un estremo baluardo contro la riduzione del lavoro a una pura variabile dipendente dallo stato di salute dell'impresa e dalle congiunture economiche, verrà seriamente minato. Con esso subirà di fatto un duro colpo lo stesso articolo primo della nostra Costituzione, quello che dice che l'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. L'antico obiettivo della parte più aggressiva delle classi dominanti, coltivato a lungo nella culla del berlusconismo, cioè quello di manomettere la prima parte della Costituzione per sostituire, come principio fondante della nostra comunità civile e democratica, il mercato e l'impresa al lavoro troverebbe così un'applicazione di fatto.
Nel secondo caso, quello che riguarda la modifica dell'articolo 81 della Costituzione, la maggioranza dei due terzi, che al Senato chiuderebbe definitivamente la strada a un referendum, può essere raggiunta solo se le forze del centrosinistra lì rappresentate lo consentono. Da qui la richiesta, sostenuta da appelli di forze intellettuali che si stanno succedendo in queste ore, ai singoli parlamentari di fare in modo che tale maggioranza e in quella misura non si verifichi. Ciò che viene chiesto è che, indipendentemente da come la si pensi nel merito del pareggio di bilancio e senza pretendere di modificare l'opinione già formatasi da parte dei rispettivi partiti e gruppi parlamentari, almeno sia consentito al popolo italiano di esprimersi al riguardo. D'altro canto appare assai poco saggio, per non dire di peggio, affidare a un'assemblea di "nominati", come è stato definito da autorevoli esponenti dello stesso Pd l'attuale parlamento italiano in ragione della pessima legge elettorale che lo ha determinato, una modifica così rilevante della nostra Costituzione, tale da ingabbiare e inibire una funzione fondamentale di un governo democratico, di qualunque colore politico essa sia. Il ricorso al referendum, che permetterebbe un grande dibattito nel paese sulle forme di funzionamento della democrazia e sui presupposti di fondo di una politica economica, si configura quindi come una scelta di buon senso. Se veramente si ha a cuore la democrazia.
da sinistraecologiaeliberta.it