di Alberto Burgio e Maria Rosaria Marella
Il sistema introdotto dalla riforma Gelmini è discriminatorio e penalizzerà alcuni ricercatori e piccole e medie case editrici. A vantaggio di grandi editori e lobbies accademiche. Discutiamone sabato a Bologna.
Che cosa sta succedendo in questi giorni nell'Università italiana?
In base alla «riforma» Gelmini (assunta in toto dal governo Monti) si è aperto, nel sacro nome del Merito, il capitolo della Valutazione, pomposamente denominato Vqr («Valutazione sulla qualità della ricerca»). Sulla congruità di questo obiettivo si può discutere, in teoria. Nella pratica, siccome sui criteri di giudizio vigono arbitrio e opacità, la Valutazione opererà come una potente leva discriminatoria. Sarà (se ne vedono già le avvisaglie) un grande gioco al massacro, destinato a sortire pesanti effetti sull'attività dei ricercatori: sulla distribuzione delle risorse finanziarie e strumentali, sulle carriere, sullo sviluppo delle strutture (in pratica, il reclutamento dei giovani). Ciò avviene sulla base della plateale violazione di due principi-base della civiltà giuridica: la tassatività delle norme (nessuno conosce i criteri in base ai quali verrà valutato, quindi ignora come gli convenga selezionare il meglio della propria attività, se privilegiare una monografia o un saggio in lingua straniera) e la non-retroattività: oggi (2012) si valuta l'attività scientifica svolta tra il 2004 e il 2010, quando nessuno conosceva i criteri in base ai quali sarebbe stato valutato. I libri, per fare un esempio, saranno valutati anche in base alla sede di pubblicazione (alla casa editrice o alla collana): a parte la totale arbitrarietà del criterio (torneremo su questo aspetto), il giudizio si abbatte oggi su scritti pubblicati quando gli autori non sapevano che sarebbe stata applicata questa regola né - a maggior ragione - disponevano di criteri di selezione delle sedi di pubblicazione.
Tutto ciò scaricherà sulla ricerca una prima serie di pesanti effetti perversi: aree e linee di studio, in taluni casi intere discipline, saranno discriminate, con gravi limitazioni, di fatto, della libertà e del pluralismo. Non solo. Siccome la Valutazione si muove sulla base di sistemi a numero chiuso (per esempio, si stabilisce in partenza il rapporto percentuale tra le riviste di fascia A e quelle collocate nelle fasce inferiori), si produrrà un esito di frustrazione, non di stimolo: poiché è materialmente (e "politicamente") impossibile che tutti pubblichino su riviste A, agli altri (spesso esclusi perché estranei al mainstream o per ragioni di non-appartenenza a forti cordate accademiche) si trasmetterà un messaggio molto chiaro: «non vale la pena che vi affatichiate, tanto...». Qualcuno potrebbe pensare che si tratti di puro autolesionismo, cioè di stupidità: alle università e al governo dovrebbe interessare stimolare l'attività, non già deprimerla. Ma sarebbe - temiamo - un'obiezione ingenua. Come dicevamo, la Valutazione è un'arma; il proposito è (anche) quello di neutralizzare voci scomode (o soltanto periferiche), concentrando risorse e poteri nelle mani di ristrette cerchie di «ricercatori eccellenti». Da questo punto di vista, svalutare (e scoraggiare) è utile quanto premiare. Tanto più che l'Università pubblica è costosa e deve "dimagrire" - sappiamo a vantaggio di chi.
Aggiungiamo qualche osservazione in merito alle conseguenze micidiali (e di dubbia legittimità) che questo sistema genererà a danno della piccola e media editoria. Far valere (di diritto o di fatto: come dicevamo, una caratteristica di tutta questa faccenda è la scarsissima trasparenza proprio in merito ai criteri di giudizio) una graduatoria tra le case editrici significa, in sostanza, impoverire il panorama culturale dell'intero Paese e renderne agevole la colonizzazione da parte di poche imprese private (e dei potentati accademici). Su due versanti.
Per quel che riguarda i ricercatori, quanti dispongono di buone relazioni personali con le case editrici «di serie A» saranno decisamente avvantaggiati, come se le case editrici fossero obbligate a scegliere che cosa pubblicare o meno in base a criteri scientifici, invece che in base a opzioni ideologiche, ad aspettative commerciali o a relazioni amicali, come legittimamente fanno soprattutto per ciò che riguarda i saperi umanistici (ma lo stesso avviene perlopiù anche per le discipline sociologiche ed economico-statistiche).
Conseguenze ancor più pesanti colpiranno le case editrici. Quelle «di serie A» vedranno impennarsi il valore delle proprie pubblicazioni (e altrettanto accadrà, prevediamo, per l'importo dei finanziamenti che pretenderanno dagli autori); quelle collocate nelle fasce inferiori assisteranno a una drastica svalutazione del proprio catalogo e della propria attività. Con buona pace del dio mercato: difatti in Australia il governo ha dovuto fare marcia indietro su tutta questa materia e ritirare la graduatoria delle case editrici, essendo stato trascinato in giudizio dai piccoli editori con l'accusa di aver provocato «gravi turbative» del mercato. In sostanza, alcuni rispettabili imprenditori privati potrebbero presto diventare i Signori della ricerca scientifica italiana, poiché dalle loro insindacabili decisioni dipenderà la sanzione della qualità delle pubblicazioni, con tutte le conseguenze che da ciò discendono. E se a loro la Valutazione conferirà il tocco di Creso (qualsiasi schifezza avranno deciso di pubblicare potrà miracolosamente trasformarsi in una pietra miliare del progresso scientifico), una pietra tombale verrà invece posta sugli «sfigati» editori piccoli e medi, ridotti al rango di diffusori di merce di scarto.
Questi sono, ci pare, alcuni prevedibili - e già, in parte, attuali - effetti perversi della Valutazione. Su di essi (nonché sui gravi conflitti d'interesse inerenti a giudizi formulati da soggetti inclusi nella platea valutata) varrebbe la pena di confrontarsi prima che un sistema varato con il pretesto della meritocrazia sancisca definitivamente l'emarginazione di posizioni eterodosse e lo strapotere di grandi editori e lobbies accademiche. Ci auguriamo che una buona occasione per cominciare a discuterne sia l'imminente assemblea nazionale dei movimenti di opposizione alla Gelmini convocata a Bologna (aula Barilla, p.zza Scaravilli 1/1) per sabato 24 marzo 2012 sotto l'inequivocabile titolo «Università bene comune».
Mercoledì 21 Marzo, da Il Manifesto