di Carlo Lania
Siamo un Paese che ribolle, con centinaia di aziende in crisi, vertenze che durano mesi se non anni e una conflittualità nei posti di lavoro in continua crescita. Il 2012 che sta per chiudersi sarà ricordato come uno degli anni più conflittuali per il mondo del lavoro, con le ore di sciopero che nel primo semestre sono cresciute del 9% rispetto al 2011. Un aumento «marcato, prevedibile e inevitabile», lo ha definito ieri su Facebook il garante dell'Autorità sugli scioperi Roberto Alesse, per il quale il livello di conflittualità «non potrà che confermarsi» anche nel 2013. A meno che, ha aggiunto, «il nuovo parlamento e il nuovo governo non sapranno, con senso di responsabilità, affrontare i difficili nodi
che, da anni, bloccano le trattative soprattutto in alcuni settori fondamentali per il funzionamento del sistema paese».
Nel 2011 si sono avuti complessivamente 838 giorni di sciopero, cifra già molto elevata che però quest'anno arriva a sfiorare i 900 giorni. Una tendenza riscontrabile già nel primo semestre quando, da gennaio e giugno, l'Autorità ha ricevuto 1.287 proclamazioni di sciopero. E i presupposti perché nel 2013 la tendenza non cambi ci sono tutti. Anzi, la situazione potrebbe addirittura peggiorare. Sono almeno 300 infatti le vertenze aperte sia nel pubblico che nel privato, e ognuna di esse racconta un pezzo della crisi industriale di questo Paese. Tra i settori più caldi segnalati dall'Autorità c'è quello relativo alla raccolta dei rifiuti e all'igiene ambientale dove, sempre nel primo semestre, si sono registrati 156 scioperi, la maggior parte dei quali al Sud. In questo caso, spiegano all'Autorità, il problema si deve alla mancanza di soldi da parte dei Comuni, che non riescono a pagare le ditte che hanno in appalto la raccolta dell'immondizia. Con conseguenti scioperi da parte dei lavoratori.
Altro settore a rischio è quello del trasporto sia locale (181 scioperi) che aereo (101) e ferroviario (96). Nel trasporto locale, dove il contratto è scaduto nel 2007, qualche passo era stato fatto negli ultimi mesi, ma la crisi di governo ha bloccato tutto. E ancora: astensioni dal lavoro sono possibili nella sanità, sia pubblica che privata, nella scuola (dove si aspetta il rinnovo del contratto per gli insegnanti e rimane il problema dei precari) e nel credito.
C'è poi tutto il pacchetto industria, pieno di casi che definire incandescenti è dir poco. A partire dal Sulcis con le vertenze Alcoa (lavoratori in cigs da tre anni, due mesi fa è stato firmato un accordo tra la multinazionale russa Rusal, Regione Sardegna e ministero dello Sviluppo per rilanciare l'azienda nel 2013), Alcoa (ferma da primavera in attesa di un compratore, nel frattempo i 450 dipendenti sono in cigs) e Carbonsulcis la cui chiusura, inizialmente fissata per il 31 dicembre, è stata spostata senza che però, almeno per ora, si intravedano impegni per futuri investimenti. «E senza parlare dell'Ilva, - ricorda Salvatore Barone, coordinatore del Dipartimento settori produttivi della Cgil - la Lucchini di Piombino, acciaieria d'eccellenza dove si fabbricano i binari per l'alta velocità che però è commissariata, Termini Imerese, con 1.200 lavoratori in cigs, l'Iribus. della Fiat, l'unica azienda in Italia che fabbricava autobus chiusa e con gli 800 lavoratori in cigs».
Ad aprire la stagione del conflitto potrebbe essere però la vertenza Alitalia. Il 12 gennaio scade infatti il lock up, il periodo in cui gli imprenditori che nel 2008 salvarono la compagnia si sono impegnati a non vendere le proprie azioni. Air France, che possiede il 20% della compagnia, per ora tace mentre ieri la stessa Alitalia ha smentito «in modo assoluto e categorico» ogni accordo con Ferrovie dello Stato.
Il 2013 si annuncia quindi come un anno di forti tensioni sociali. C'è il rischio che la situazione possa sfuggire di mano al sindacato? «Ci sono alcune vertenze industriali, come ad esempio quella del Sulcis, nelle quali l'esasperazione è tanta che la situazione potrebbe sfuggire di mano, ed è evidente che se la tensione sociale cresce diventa difficile per tutti gestirla», ammette Barone. «Finora però, abbiamo visto soprattutto atteggiamenti molto responsabili da parte di tutti. Ma è chiaro che il nuovo governo deve intervenire e presto. Penso alla siderurgia: la mancanza di un piano nazionale per il rilancio siderurgico italiano è chiaramente un problema, perché i grandi produttori siderurgici internazionali in questo momento sono più competitivi di noi».
da il manifesto