di Federica Pitoni*
E' dal 17 aprile, Giornata dei Prigionieri Palestinesi, che nelle carceri israeliane migliaia di detenuti palestinesi digiunano per protestare contro il regime disumano cui sono sottoposti.
Sono circa 6.000 i prigionieri palestinesi detenuti in 17 carceri, compresi donne e bambini. 330 sono trattenuti in detenzione amministrativa senza che siano state avviate accuse formali contro di loro. La detenzione amministrativa può durare anche anni e può essere prorogata da una corte militare, senza che ci sia possibilità di appello.
E' superfluo ricordare come un simile regime carcerario violi tutti i trattati internazionali per i diritti umani. Tra i detenuti palestinesi, 28 sono membri eletti del Parlamento, tra cui tre ex ministri. Vi sono anche Marwan Barghouti, leader di Al Fatah, condannato a più di cinque ergastoli, e Ahmad Sa'adat, leader del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, condannato a 30 anni. Ad oggi metà dei prigionieri è entrato in sciopero.
Quello che chiedono con questo sciopero della dignità e della fame i detenuti palestinesi è solidarietà internazionale e riconoscimento delle loro richieste: 1) la fine della politica di isolamento che viene utilizzata per deprivare i prigionieri palestinesi dei propri diritti; 2) il permesso alle famiglie dei prigionieri provenienti da Gaza di visitare i propri parenti, diritto che viene negato da oltre sei anni; 3) il miglioramento delle condizioni di vita nelle prigioni e la fine della "legge Shalit" che vieta quotidiani, materiali di studio e canali tv; 4) la fine delle politiche di umiliazione a cui i prigionieri e le loro famiglie sono sottoposti: perquisizioni fisiche, raid notturni e punizioni collettive.
Dal 1967 ad oggi, si stima che almeno il 20 per cento della popolazione palestinese in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza abbia subito un arresto. La Quarta Convenzione di Ginevra relativa alla Protezione dei Civili in tempo di guerra all'articolo 76 recita che: "Le persone protette accusate di reati saranno detenute nel paese occupato, e se condannate, dovranno scontarvi la loro pena". Israele, in palese violazione di questo articolo, tiene questi prigionieri fuori dal territorio occupato; all'articolo 49 la Convenzione ribadisce: "I trasferimenti forzati, di massa o individuali, come pure la deportazione di persone protette fuori dal territorio e a destinazione della Potenza Occupante o di quello di qualsiasi altro stato, occupato o no, sono vietati, qualunque ne sia il motivo". All'articolo 32 si vieta esplicitamente "omicidio, tortura, punizioni corporali e ogni altra brutalità compiuta da agenti civili o militari": sono centinaia i prigionieri palestinesi morti a causa delle torture subite.
Nella giornata del 29 aprile Ahmed Sa'adat, detenuto nel carcere di Raymon, è stato trasferito in ospedale a causa dell'aggravarsi delle sue condizioni di salute per il prolungato sciopero della fame. Come lui, molti altri prigionieri sono allo stremo e vedono le loro condizioni di salute peggiorare giorno dopo giorno. Tutto questo accade nel perfetto silenzio dei media internazionali. Pochissimi giornali hanno riportato la notizia di questo grande sciopero della fame.
Vogliamo provare a spezzare questo silenzio e chiediamo a tutte le forze politiche italiane, alle associazioni, ai giornalisti, alla società civile italiana di non rendersi complici di questo silenzio. Lo facciamo con questo articolo e cercheremo ogni mezzo per superare la barriera del silenzio, quel muro di gomma contro cui sempre, da decenni, i palestinesi vedono infrangersi le loro ragioni. Vi chiediamo solamente di parlarne, vi chiediamo di informare l'opinione pubblica, vi chiediamo una presa di posizione. Questo è quanto vogliono e chiedono i prigionieri palestinesi dalla Comunità Internazionale. Questo è quanto ogni palestinese, della diaspora e in Palestina, vi chiede.
*Mezzaluna Rossa Palestinese-Italia, mercoledì 2 Maggio 2012