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da ArticoloTre
Ieri mattina la sezione lavoro del Tribunale di Torino ha riconosciuto infatti che ben 11 società controllate dal gruppo hanno tenuto un «comportamento antisindacale» negando di trasferire alle casse della Fiom la «cessione parziale del credito» dovuta mensilmente per il pagamento delle quote associative nel sindacato.

Si tratta di Ftp Industrial, Fiat Service, Automotive Lighting, Fiat Sepin, Magneti Marelli, Fga Capital, Iveco, Sistemi Sospensioni, Abarth, Powertrain, Sirio e Comau.

Tutte si erano rifiutate di «girare» alla Fiom le quote perché quest’ultima non aveva firmato il contratto Fiat (nel frattempo uscita da Confindustria).

Ma in tal modo hanno impedito la libera scelta dei singoli lavoratori di sostenere il sindacato di appartenenza.

La sentenza è particolarmente interessante perché riprende ben quattro pronunce della Cassazione sullo stesso tema (e per sindacati molto meno imponenti, come quelli di base), chiarendo che quella «cessione di credito» è un atto tra privati che non può essere impedito da chicchessia. Tanto più che non si tratta di una «cessione in pagamento di un prestito» – per acquistare un’auto, per esempio. Né c’è pericolo che possa essere avvicinata quella soglia-limite del 20% (la famosa «cessione del quinto»), che la legge pone a difesa delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti.

Nemmeno il referendum del 1995 può impedire la «cessione» per le quote, perché il quesito allora approvato era finalizzato a impedire che la «trattenuta» fosse prorogata a vita (a favore del sindacato), anche quando il lavoratore aveva mancato di rinnovare l’iscrizione. Proprio la Fiom è l’unica organizzazione ad aver condotto una revisione completa del tesseramento, in modo da evitare le iscrizioni dimenticate o «a propria insaputa».

Nè il giudice ha preso in considerazione le doglianze degli avvocati Fiat sull’«eccessiva onerosità» di questa intermediazione per il datore di lavoro. Anzi, proprio le lettere inviate dalle società alla Fiom sono diventate «prove» della condotta antisindacale. Lì infatti non veniva nemmeno menzionata la questione dei «costi per il datore di lavoro» – risibile, visto che le trattenute vengono già effettuate in automatico per gli iscritti a tutti gli altri sindacati – ma solo presunti vincoli stabiliti in una legge del 1950 e, appunto, la mancata firma del contratto 2011; quello in cui il «modello Pomigliano» diventa «legge» per tutti gli stabilimenti Fiat.

Il giudice ha pertanto ordinato alle undici società del Lingotto di riprendere immediatamente a operare le trattenute e a girarle alla Fiom. La quale – nel prendere ovviamente atto con soddisfazione della sentenza – ha scelto anche di rinunciare agli arretrati.

«Questa decisione – sopiega Giorgio Airaudo, segretario nazionale con delega per l’auto – riguarda oltre 3.000 iscritti alla Fiom, che ha da poco concluso la verifica delle iscrizioni; sono insomma, lavoratori che hanno appena confermato la loro adesione».

«Abbiamo voluto evitare che la Fiat potesse fare una ritorsione nei confronti di lavoratori che già prendono molto meno a causa della cassa integrazione a singhiozzo cui sono sottoposti molti stabilimenti. Non era il caso che gli arrivasse, in unica soluzione, il conto delle trattenute arretrate per la tessera».
Mercoledì 09/05/2012

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