Intervista di Stefano Galieni
Ugo Mattei, oltre che essere un giurista è fra le figure intellettuali che più sta avanzando proposte in questa fase politica. È stato fra gli animatori principali dell’assemblea che si è tenuta il 28 aprile scorso a Firenze per la nascita di un nuovo soggetto politico. La proposta dell’ALBA (Alleanza per il Lavoro i Beni comuni e l’Ambiente) si incrocia positivamente con la manifestazione indetta il 12 maggio a Roma dalla FdS.
«Oggi tutta quella che è l’opposizione totale al governo Monti deve dialogare. Il governo è ormai in una fase non solo materiale, si sta intervenendo sulla Costituzione del 1948 con revisioni formali come quella sull’articolo 81 (pareggio di bilancio). Quella che è in atto è una “ricostituzionalizzazione” del Paese e del suo ordine democratico proprio durante una gravissima crisi di rappresentanza. La maggioranza parlamentare attuale non corrisponde al Paese e impedisce anche l’utilizzo dell’articolo 138 con un referendum confermativo. Col primo documento dell’assemblea di Alba assumiamo una posizione forte rispetto all’articolo 81, una riforma fatta di nascosto dimostrando di fatto una condizione di emergenza democratica. Di fronte a questo, ogni cosa che si riesce a mettere in campo in termini di opposizione politica è importantissimo rende più consapevole l’esistenza stessa di una opposizione rispetto a temi come il lavoro, i beni comuni, l’ambiente, la stessa qualità della vita. Si tratta di fare una scelta di campo e in tal senso Alba e la manifestazione del 12 hanno un legame fortissimo».
Il fatto che la mobilitazione del 12 sia convocata da una forza politica come viene vissuto?
«Adesso c’è una tale liquefazione della soggettività politica dei partiti che diventa irrilevante chi convoca. Dobbiamo invece ridarci una organizzazione con una soggettività ampia e diversa dallo stato borghese. La forma partito, per come la conosciamo è necessariamente verticistica piramidale ed è funzionale alla rappresentanza politica dello Stato e nello Stato. Ma se questo sta morendo sotto i colpi della finanziarizzazione e della globalizzazione diventa necessario riformarsi. Fa onore a chi ha convocato la manifestazione perché dimostra di aver compiuto una scelta di campo. I partiti a mio avviso debbono partecipare ma senza imporre un ruolo egemonico. L’ esempio è quello dei referendum sull’acqua, non sarebbe stato possibile vincerli caratterizzandoli con bandiere di partito. I partiti debbono esserci ma contemporaneamente restando un passo indietro per realizzare battaglie di popolo da riprodurre su vasta ricostruendo un tipo diverso di rapporto fra partiti e movimenti».
Bisogna però che manifestazioni, assemblee e referendum non restino episodi ma assumano una continuità
«Noi siamo molto avanti. Ero a Milano all’occupazione del palazzo Macao di Ligresti, migliaia di persone in un conflitto per considerare la cultura come bene comune. Ad una serata per il “Manifesto” ho incontrato tanti compagni desiderosi di contribuire alla salvezza di un quotidiano così importante. Al meeting regionale diAlba in Piemonte c’erano almeno 150 persone, non quadri o il solito ceto politico ma cittadini desiderosi di partecipare. Di fronte alla stretta del capitale la sola risposta possibile è nella riorganizzazione costituente del popolo in opposizione. Non passa settimana che non ci sia un episodio che chiaramente mostra la capacità di essere alternativo a questo governo. Questo ci responsabilizza per andare verso una soggettività politica più ampia».
Alle elezioni amministrative c’è stato un proliferare di liste civiche con l’appellativo “bene comune” cosa ne pensi?
«Il bene comune è una chiave di lettura teorica che ha consentito di mettere in comunicazione prassi di lotta che erano altrimenti isolate. La migliore azione civile e politica che credo di aver compiuto ultimamente è stata quella di contribuire ad aprire un dialogo fra il Teatro Valle Occupato e gli abitanti della Val di Susa. C’è un nesso forte fra la mercificazione della cultura e un treno che devasta il territorio. C’è identificazione intorno ad una categoria nuova e mobilitante che cerca di rompere la tenaglia fra lo Stato e la proprietà privata, capace di opporsi al processo che produce solo ricchezza in mano a pochi. Ma la categoria “bene comune” rischia di essere inflazionata e utilizzata in maniera inaccettabile. A me lascia interdetto vedere Pierluigi Bersani parlare da un palco con la scritta “beni comuni”. Il Pd ha partecipato a tutte le nefandezze per distruggere questo concetto e da veramente fastidio vederlo sbandierato da loro. Si rischia insomma una ambiguità anche se i beni comuni possono essere un grimaldello efficace che certamente va integrato con i temi del lavoro e dell’ambiente. Ma anche questo non basta, evidentemente c’è anche una crisi del linguaggio. Per caratterizzarsi dobbiamo definire una direzione precisa e una prassi molto radicale fatta di azioni dirette e radicali di cui non potrà appropriarsi Bersani».
Le forze presenti in parlamento, definiscono tutto ciò che si muove fuori dai propri schemi sotto la categoria dell’antipolitica. Una definizione usata per Grillo per i movimenti e per chi non accetta certi diktat, cosa ne pensi?
«La di diffamazione dell’avversario è un tipico strumento del potere, del resto i nazisti chiamavano “banditi” i partigiani. La politica di resistenza viene chiamata antipolitica, si tratta di una strategia dispregiativa di concentrazione del potere e di esclusione di chi non è interno alle sue logiche. Non si accetta il disagio sociale. Io ritengo il voto a Grillo come un fenomeno profondamente politico. Oggi sembra essere l’atto più forte a disposizione di chi ancora vuole ancora andare a votare e non si sente rappresentato. Rispetto sia l’ astensionismo che il voto a Grillo e penso che riempirsi la bocca di forme sminuenti sia profondamente sbagliato. Grillo è un comico che si sta dando all’impegno politico, a volte il suo atteggiamento è sbagliato certi suoi toni a me non piacciono e non fanno parte della mia cultura, cerco di costruire una opposizione più radicale e ragionata ma questo è il mio punto di vista. Di fronte c’è un livello tale di autoritarismo, una cultura dominante così fascistoide che si utilizza, verso ogni disagio e ogni sua espressione, il pugno sul tavolo, le ragioni della forza più che la forza dei ragionamenti. Quello che noi critichiamo di Grillo non è tanto lo stile retorico ma il verticismo tipico di certe forme organizzative. Quando un progetto politico si incarna in una sola persona questi diviene facilmente oggetto di ricatto e di corruzione. Se viene sminuito il leader, lo si sta vedendo anche con Berlusconi, sparisce anche il progetto. Il leaderismo è pericoloso meglio se i processi marcino su tante gambe e meglio che, nonostante i limiti imposti dalla società dello spettacolo, se si è in molte e molti a ragionare e a proporre».