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di Roberto Musacchio
Negli ultimatum di Merkel e Barroso ai Greci c’è tutta la crisi democratica che stiamo vivendo. I Greci devono accettare quello che il direttorio europeo ha deciso o sono fuori dall’Europa. E’ che ormai siamo assuefatti a tutto, ma il ricatto dovrebbe suonare scandaloso lo stesso. Barroso si nasconde dietro i Parlamenti che hanno votato gli aiuti alla Grecia per dare un simulacro di democraticità alle sue affermazioni.

In realtà così facendo aggrava la sostanza delle cose. I Parlamenti nazionali hanno semplicemente ratificato le decisioni della Troika. E non si dà che un Parlamento perda sovranità se non in nome di una sovranità più ampia. Ma la sovranità europea non c’è, non esiste nei fatti. Non c’è una vera Costituzione ma solo un cumulo di accordi “ funzionalistici “ e in realtà ormai meramente tecnocratici. La base della convivenza è puramente economicistica, per quanto ammantata di belle dichiarazioni sui diritti. Tutto è talmente evidente che, senza ritegno, si dice ad un popolo di accomodarsi fuori. Cioè si impone l’esilio, l’ostracismo, che sono cose antichissime o anche di passati assai più drammaticamente recenti, che non avevano a fondamento la democrazia. La democrazia che si fonda sul fatto che la cittadinanza è un diritto in sé e non una elargizione condizionata. Quella di cui parlano Merkel e Barroso è una Europa senza Europei, una vera aberrazione. Ma essere arrivati a questo punto può servire, a patto che ci sia la capacità di rendersi conto del baratro in cui siamo già precipitati. Il combinarsi degli eventi ha fatto sì che le cose si siano mosse consegnando una nuova occasione per provare a cambiare rotta. In Grecia c’è una netta maggioranza elettorale contro il memorandum. Di questa maggioranza il primo partito è un partito di sinistra europeista, Syriza, che chiede non solo di rigettare il Memorandum ma di cambiare le scelte europee. Scelte europee che appaiono sempre più disastrose e che invece le tecnocrazie vorrebbero addirittura eternizzare. Si pongono dunque insieme questioni di metodo, democrazia si o no e quale, e di merito. Intanto in Francia vince Hollande e, come si è detto, apre ad un cambiamento. Ma quale e come? Sono convinto che non c’è più tempo per tentare di aggiustare i cocci e che bisogna rendersi conto che o si svolta sul serio o la democrazia europea diverrà un ricordo. La Francia apre ad una speranza ma questa sarà tale solo se saprà entrare in sintonia con quanto succede in Grecia. Anzi, possiamo dire che la vicenda francese è qualcosa che ancora sta in relazione con le dinamiche del passato mentre è quella greca che ci squaderna davanti la profondità della crisi e delle contraddizioni drammatiche dell’oggi. Ancora di più, la vittoria di Hollande deve essere l’occasione per riflettere sulle responsabilità che la sinistra che è stata di governo in Europa ha sull’attuale situazione. Hollande vince lo stesso giorno che il Pasok è schiantato. Ed il Pasok è schiantato da quell’Europa del dominio dei mercati finanziari che fu messa in moto anche da Mitterand e Delors che aprirono la Francia e poi la UE alla liberalizzazione sfrenata dei capitali prima ancora che Clinton lo facesse negli USA. Qui c’è la chiave di volta della globalizzazione liberista, di cui l’Europa non è stata vittima ma anche protagonista. E lo è stata anche con le proprie sinistre di governo sussunte a pieno nel neoliberalismo. Venti anni e più di storia dovrebbero averci insegnato che dentro questo quadro il pendolo dell’alternanza destra-sinistra è meramente illusorio perché il finanzcapitalismo orienta la freccia dell’orologio tutta verso l’era della postdemocrazia e del dominio tecnocratico. Il combinarsi, sempre più evidente, del massacro sociale e della crisi democratica, stanno in questa origine comune. La crisi è epocale. Crisi sociale e democratica stanno insieme. Le sinistre di governo si sono fatte sussumere nel neoliberalismo. Quelle di opposizione non ce l’hanno fatta a contrapporsi efficacemente.  Rendersi conto, le une e le altre, di questi dati di realtà è la precondizione per  provare a ritrovare bussola e rotta. Una precondizione che sembra faticare ad affermarsi in Italia. Anche qui si è votato e si sono mostrati ampiamente sia il malessere sociale che la crisi di vecchie egemonie. Ma mentre in Francia e Grecia, come dicevo da un versante “ antico “ e “ nuovo “, si sono poste le domande chiave sull’Europa e la Democrazia, qui da noi ancora si fatica a porle al centro. Eppure l’Italia è uno dei punti più “ avanti “ della fase postdemocratica e della rottura del compromesso sociale. Per giunta passata per una seconda repubblica che l’ha ampiamente facilitata. Il riproporsi in questo momento di vecchie formule e di vecchie logiche appare allucinato. Se qualche sinistra italiana pensa di partecipare all’aggiustaggio dei cocci si sbaglia di grosso. I vasi di Pandora di questa globalizzazione e di questa Europa sono rotti e i demoni sono tutti fuori. Occorrono vasi tutti nuovi. Che facciano rientrare sotto custodia i tornadi della speculazione finanziaria che semplicemente non è compatibile con nessuna idea di futuro condiviso e condivisibile. E che tornino ad essere custoditi nelle mani  dei soggetti della democrazia. Una vera democrazia europea che nasce dai popoli, dal loro volere e non più soffocata dalle tecnocrazie.

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