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di Marco Mostallino
Il programma per l'aereo da combattimento F35 - Joint Fight Striker rischia di saltare, a meno che i governi coinvolti, compreso quello italiano, non aggiungano altre risorse ai soldi già impegnati nell'affare, che al nostro Paese è costato finora  17 miliardi di euro. Ma anche far crescere a dismisura le spese potrebbe non bastare: perché il cacciabombardiere del futuro è in realtà difettoso, pericoloso per i piloti, fortemente inaffidabile nelle sue prestazioni di volo e di combattimento.


Tanto che potrebbe fallire l'intero investimento, per il quale Usa, Italia e altri Stati hanno già speso svariati miliardi ciascuno.
È quanto risulta da un documento di marzo 2012 dell'US Government Accountability Office (Gao), l'agenzia americana che svolge un ruolo simile alla nostra Corte di conti nell'esaminare spese e interventi delle amministrazioni pubbliche.
DOCUMENTI IGNORATI DAL GOVERNO. Il dossier si intitola Restructuring added resources and reduced risk, but concurrency is still a major concern ed  è stato da poco reso noto, senza alcuna reazione da parte del Governo di Mario Monti, il quale ha libero accesso a questa informazione, ma finora non ne ha tenuto alcun conto.
Concurrency, un metodo azzardato alla base del bluff
La parola chiave dell'intero rapporto, basato su studi e testimonianze di esperti e politici, è  concurrency. Non si tratta della concorrenza tra imprese, come il termine sembrerebbe suggerire, bensì  di una 'concomitanza' di lavori e spese, un metodo di sviluppo degli investimenti militari avviato durante la Seconda guerra mondiale, quando vi era l'urgenza di disporre sempre di armi nuove e più efficienti.
In sostanza, si tratta di avviare la produzione di un'arma - in questo caso l'aereo F35 - quando ancora gli studi, i test a terra e in volo, i collaudi dei singoli componenti non sono conclusi.
Questa scelta è ovviamente ben vista dalle aziende coinvolte, perché permette loro di incassare subito miliardi di dollari o di euro prima ancora che si sappia se il loro prodotto funziona oppure no. In questo caso, a beneficiare di questa rischiosa e costosissima pratica di emergenza sono state in primo luogo l'americana Lockheed Martin, capofila del progetto e, per quanto riguarda l'Italia, Alenia Aeronautica, fabbrica bellica del gruppo Finmeccanica, controllata dal ministero del Tesoro.
L'ERRORE FATALE.  I controllori dei bilanci pubblici di Washington spiegano di aver, sin dal 2005, sottolineato nei loro dossier che il sistema della concurrency applicato all'F35-JSF metteva a rischio l'intero progetto, perlomeno nei sui limiti di spesa. Perché avviare la produzione dell'aereo prima ancora di sapere se il design della carlinga è quello giusto, se i software di volo e di combattimento sono completi e precisi, se i motori e le ali sono affidabili, conduce inevitabilmente a correzioni successive che fanno sforare il tetto di budget previsto.
È come se un'impresa civile si mettesse a costruire il tetto di una casa prima ancora di aver fatto i calcoli sulla tenuta delle fondamenta e dei muri: nessuno stupore se poi l'edificio crolla, anzi, è abbastanza ovvio che accada.
17 MILIARDI  PER UN AEREO BLUFF. I rapporti del Gao sono pubblici, quindi i Governi italiani succedutisi dal 2005 a oggi erano al corrente di tutto ciò, ma non lo hanno rivelato ai cittadini, chiamati a finanziare con 17 miliardi di euro un aereo che per il momento non è in grado di svolgere il proprio ruolo.
«Gli effetti della concurency», scrive il Gao nell'ultimo rapporto, «sono apparsi particolarmente evidenti nel 2011, quando il programma JSF è incorso in un aggravio di spesa stimato in 373 milioni di dollari, per risistemare apparecchi già costruiti correggendo difetti scoperti durante i test successivi».
L'Italia rischia di pagare di più avendo meno aerei
Nel febbraio del 2012, bombardato dalle polemiche, il ministro della Difesa ammiraglio Giampaolo Di Paola aveva annunciato che l'Italia avrebbe acquistato solo 90 F35, invece dei 131 inizialmente prenotati, così da ottenere un risparmio di cinque miliardi di euro. Ma si tratta di un' illusione, perché la crescita dei costi è così alta e rapida che pur riducendo il numero di apparecchi acquistati, si rischia di non risparmiare nemmeno un centesimo: anzi, di trovarsi forse a pagare di più avendo in cambio meno aerei.
IL BOOM DEI COSTI.  Il Gao spiega che «la ristrutturazione del Joint Strike Fighter continua per il terzo anno consecutivo, aggiungendo costi e allungando i tempi di produzione. Dal giugno 2010, il costo totale stimato è cresciuto di circa 15 miliardi di dollari, 5 per per lo sviluppo dell'apparecchio e 10 per gli acquisti». Problema che tocca anche l'Italia, perchè i calcoli del presunto risparmio il ministro Di Paola li ha fatti sul vecchio prezzo dell'aereo, non su quello attuale e tantomeno su quello che sarà alla fine, che risulta ancora fortemente incerto e sarà comunque assai più elevato rispetto ai 50 milioni di dollari per esemplare previsti all'inizio, diventati poi 170 miliardi nel 2011.
L'Italia ha già pagato alle imprese due miliardi e mezzo di euro (470 milioni nella sola Finanziaria 2011), per un progetto che secondo le stime iniziali doveva costare al nostro Paese 5 miliardi di euro, diventati 17 nel giro di pochissimi anni.
L'ARTIFICIO CONTABILE. «Rispetto alle linee guida approvate nel 2007», si legge nel dossier del Governo di Washington, «i costi totali sono cresciuti di 119 miliardi di dollari, il completamento della produzione è slittato di cinque anni, e le scadenze degli iniziali obiettivi operativi sono adesso oscillanti, a causa delle incertezze del programma».
Il Governo Usa ha tentato la strada di un artificio contabile, postando dal 2002 nei bilanci futuri i costi di acquisto di gran parte dei velivoli prenotati, 1.591, e inserendone nei costi appena 365. Ma non è bastato, spiega il Gao, perché «mentre il programma continua a registrare aumenti di costi e ritardi, e la necessità di fondi a bilancio è senza precedenti nel passato, con un costo previsto di 13 miliardi di dollari l'anno da qui al 2035».
Il meccanismo contabile vale anche per l'Italia, che dovrà continuare a pagare l'F35 per molti anni successivi al momento della consegna: quanto ci sarà costato davvero questo apparecchio lo scopriremo solo tra più di vent'anni.
L'aereo non è in grado di tenere un assetto stabile
Il dossier rivela che il «principale rischio» per la riuscita del progetto è la concurrency, la concomitanza dello sviluppo delle singole parti senza sapere se poi si incastreranno l'una con l'altra. Il Gao spiega che il design dell'F35 è quasi certamente da rifare, perché  l'apparecchio non vola bene, dà 'scossoni', non è capace di tenere un assetto stabile e sicuro.
SOFTWARE TROPPO SOFISTICATI. Aggiunge che i software di volo e di combattimento sono, almeno nel progetto, così sofisticati e moderni al punto che nessun ingegnere, finora,è riuscito a metterli a punto: e non si può escludere nessuno ci riesca mai.
Resta così  il forte «rischio che l'aereo possa non svolgere le funzioni chiave di combattimento per il quale è stato ideato», quindi che nonostante la montagna di miliardi già spesi, possa diventare solo un inutile monumento allo spreco di denaro, da esporre in qualche museo della scienza senza che mai entri in servizio.
IL 96% DELLE PARTI DELL'F35 SONO UN'INCOGNITA. «A questo punto», si legge nel rapporto, «solo il 4% dei requisiti di sistema per le missioni per la piena operatività sono stati pienamente verificati». Insomma, il 96% delle parti dell'F35 potrebbe essere un fiasco.
Gà lo è il suo fiore all'occhiello, l'elmetto ipertecnologico che il pilota dovrebbe indossare per dialogare direttamente col computer di bordo. Nel rapporto si legge che la trasmissione dati tra elemetto e aereo avviene «con lentezza» e con scarsa affidabilità, tanto da mettere a repentaglio la capacità di pilotare l'F35 in situazioni di combattimento.
PIÙ DIFETTI PIÙ GUADAGNO PER LE IMPRESE. L'F35 insomma è un fallimento, il più costoso fallimento della storia militare degli Stati Uniti e, di conseguenza, anche dell'Italia. Il Canada, conscio di questi problemi, ha rinunciato all'acquisto ed è uscito dal progetto, mentre gli Usa riflettono se andare avanti oppure. Il Governo italiano invece tiene duro, spende e non informa i cittadini di quanto sa da mesi: ovvero del fatto che i loro soldi stanno volando via senza alcun risultato, se non quello di finanziare Lokheed Martin, Alenia e le altre imprese coinvolte, le quali più crescono i difetti, più guadagnano nel costoso tentativo di correggerli, in una spirale infinita che inghiotte intere manovre finanziarie.

da www.lettera43.it

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