grilloegrillinidi Tonino Bucci, Claudio Grassi

Il Nordrhein-Westfalen è il Land più popoloso della Germania, tra i più dinamici economicamente parlando. Nelle elezioni per il parlamento locale che si sono appena tenute, domenica scorsa, spicca un dato eclatante. Non si tratta dell'affermazione dei socialdemocratici, in testa con il 39 per cento. Qui la Spd ha da sempre una delle roccaforti tradizionali. Il guadagno, in termini di percentuali, è di poco più di quattro punti.

E anche per quanto riguarda il calo della Cdu, il partito della cancelliera Angela Merkel, c'era da aspettarselo, magari non nella misura di quanto accaduto – un crollo di oltre l'otto per cento, dal 34,6 al 26. È un'altra, però, la novità. Mentre la Linke, il partito della sinistra anticapitalista che alla scorsa tornata aveva il 5,6, retrocede stavolta al 2,5 per cento e resta fuori dal parlamento regionale, avanza una formazione politica del tutto anomala. Parliamo del partito pirata tedesco che ottiene un imprevedibile 7,8 per cento e venti seggi nel Landtag. Stando alle prime analisi sui flussi elettorali i voti provengono da elettori delusi della Spd (novantamila), dei Verdi (ottantamila) e della stessa Cdu (sessantamila). Soprattutto è da notare che altri settantamila sono venuti da persone che alle scorse elezioni non avevano votato e sono tornate alle urne attratte dai pirati. Il Piratenpartei Deutschland, costruito a immagine e somiglianza del partito pirata svedese, presenta nel suo programma non poche affinità con le istanze del Movimento 5 stelle di Beppe Grillo, anch'esso reduce da un successo elettorale al primo turno delle nostre amministrative. La centralità del web, innanzitutto, che nel caso dei pirati tedeschi è affiancata da una battaglia martellante contro i diritti d'autore, per la libertà di circolazione dei contenuti digitali e per il diritto alla privacy dei navigatori della Rete. Come nel caso dei grillini, anche i pirati tedeschi agitano temi e istanze appartenenti al linguaggio della sinistra. Nel programma (consultabile su www.piratenpartei.de) è rivendicato l'obiettivo del «reddito di cittadinanza», il «diritto a un'esistenza sicura» (che deve essere, appunto, garantito dallo Stato in forma diretta e non con contributi indiretti per l'occupazione alle imprese), «l'equa partecipazione» di tutti alla ricchezza sociale prodotta, lo sviluppo della democrazia e l'uguaglianza dei cittadini, la legalizzazione delle droghe, la libera autodeterminazione dell'identità sessuale, diritto di cittadinanza per tutti i migranti, la salvaguardia dell'ambiente e delle condizioni per la riproduzione della vita, il diritto all'istruzione e il ruolo centrale della cultura nella società contemporanea. Si nota, invece, l'assenza di una lettura della crisi e dei processi economici, non c'è nessun riconoscimento del lavoro nella vita degli individui e manca qualsiasi analisi di quello che chiameremmo rapporti sociali di produzione. Il punto centrale del programma dei pirati è un altro: è la funzione attribuita a Internet nel riorganizzare il rapporto tra governanti e governati all'insegna della trasparenza. «La rivoluzione digitale rende possibile uno sviluppo ulteriore della democrazia». Anche nell'immaginario grillino la Rete è il luogo in cui si realizzerebbe l'eterno desiderio della democrazia diretta, una sorta di consultazione permanente e in tempo reale tra i cittadini e chi amministra il potere. Non a caso, il web incarna – sia nel linguaggio dei pirati tedeschi, sia in quello più virulento e sovente rozzo di Beppe Grillo – l'avvento del nuovo contro il vecchio, la piazza telematica che rende la mediazione dei partiti un residuo anacronistico del passato. Per gli uni e per gli altri, il web e la critica alle forme organizzate della politica rappresentano il punto di volta. «Noi pirati ci battiamo per una maggiore libertà e indipendenza degli eletti in parlamento» e per «limitare la disciplina dei gruppi parlamentari e la pressione dei partiti».
Con quali categorie vanno interpretati fenomeni politici di questo genere che, per un verso, attingono a un repertorio di temi tradizionalmente di sinistra e, per un altro, mostrano di essere una riedizione del populismo, di movimenti che rivendicano a sé un rapporto diretto con gli elettori, con il Popolo, rigettando i corpi intermedi della politica nel novero delle istituzioni parassitarie e liberticide? Basta soffermarsi sulle parole d'ordine del Movimento 5 stelle, molte delle quali si ritrovano nei programmi della sinistra radicale: la difesa dell'ambiente, la critica alle multinazionali, la centralità dei beni comuni, il diritto a sottrarre la vita individuale e pubblica alla mercificazione, la proposta di un controllo sui capitali finanziari. E persino la composizione del personale politico grillino chiama in causa un “tipo” più vicino al militante di sinistra che non al ceto politico del centrodestra italiano. Dietro le quinte del teatrante Grillo si muovono volontari e amministratori locali che hanno competenze specifiche. Basta spulciare nei curricula dei candidati al primo turno delle amministrative: ricercatori, ingegneri, studenti, laureati in economia, commercialisti, persone impegnate nel mondo dell'associazionismo e, ancora, ambientalisti, geometri, tecnici – insomma, figure a metà strada tra il ceto medio riflessivo e il precariato cognitivo.
Eppure, se i singoli contenuti ricalcano le rivendicazioni della sinistra radicale, è nell'impianto complessivo del discorso che salta fuori la novità. Per il M5S la critica all'economia non mette in discussione l'organizzazione sociale, non chiama in gioco soggetti collettivi, ma vale nella misura in cui i poteri forti ledono la sfera dei diritti individuali. Anche la critica ai partiti e alle forme organizzate della politica è funzionale all'idea che la democrazia debba essere rapporto diretto con l'individuo, al di fuori del quale ogni istituzione diventa inevitabilmente parassitaria. Il programma del M5S si può riassumere nella ostilità al finanziamento pubblico ai partiti (e ai giornali), nella volontà di ridurre ai minimi termini qualsiasi corpo intermedio della democrazia, percepito come una casta contrapposta agli interessi dei cittadini. Le invettive di Grillo contro il parassitismo delle istituzioni sono state accostate agli attacchi di Berlusconi contro gli organi intermedi della democrazia (la magistratura, i sindacati, l'informazione) che ostacolerebbero l'esercizio diretto della sovranità da parte di chi detiene il potere in nome del Popolo. Chissà, è un'analogia da approfondire.
Un'ultima divagazione prima di concludere. La società non esiste, afferma il filosofo argentino Ernesto Laclau, uno dei principali teorici del populismo: nel senso che non esiste il Popolo, né alcuna realtà sociale precostituita, a prescindere dall'intervento della politica con i suoi linguaggi e le sue costruzioni. La società sarebbe un campo attraversato da faglie e antagonismi, da domande particolari irrisolte, da lotte sociali e bisogni slegati tra loro, e nel quale non vi sarebbe nessuna legge naturale a garantire l'esistenza di soggetti collettivi già bell'e pronti per l'azione politica (o classi per sé, in termini marxiani). Nel campo sociale si contenderebbero il primato due diverse logiche: la prima è quella specifica del Potere, delle forze di sistema, ed è la «logica di differenza». Il Potere, in ossequio alla legge del divide et impera, isola tra loro le domande sociali, tende a contenere le diverse istanze nel quadro esistente e a favorirne, per quanto è possibile, il loro soddisfacimento all'interno della cornice istituzionale presente. Questo progetto è secondo Laclau strutturalmente impossibile, una sorta di atto condannato a ripetersi indefinitamente e, al tempo stesso, destinato a fallire l'obiettivo di una «totalizzazione sociale», cioè di una comunità organica e stabile nel tempo. Su un altro versante, operano le forze “antisistema” che agirebbero secondo una «logica equivalenziale», che raccoglie e assembla un certo numero di rivendicazioni insoddisfatte – in origine slegate tra loro – su un unico fronte antagonista, tracciando una linea di rottura tra queste domande e il Potere. Quando questa operazione politica riesce si forma il Popolo, una comunità, un Noi, contrapposto alle istituzioni (o al nemico, all'Altro, nel caso dei populismi di destra). Il movimento di Beppe Grillo – tornando alle nostre cronache politiche – è finora riuscito nell'intento di unire e rendere “equivalenti”, domande che fino a ieri erano sconnesse tra loro o che trovavano la propria rappresentazione in schieramenti politici contrapposti. Il boom elettorale va probabilmente cercato nella capacità di farsi portavoce di rivendicazioni eterogenee, mettendo nello stesso paniere temi che sono di sinistra (il controllo dei capitali finanziari, l'acqua pubblica, i beni comuni, le energie rinnovabili) con temi tradizionalmente orientati a destra (l'antifiscalismo, il parassitismo della politica, l'ostilità verso i partiti e l'idea che sono “tutti uguali”). Una spregiudicatezza che finora ha consentito al M5S di pescare voti nell'astensione e nei bacini elettorali sia di sinistra sia di destra. Le scelte comunicative dello stesso Grillo in campagna elettorale hanno infatti toccato temi tradizionali del repertorio leghista, soffermandosi in più occasioni sull'impossibilità degli italiani di pagare le tasse, sui piccoli e medi imprenditori strozzati dalle banche che non fanno più credito e, persino, mettendo in dubbio la legittimità di un sistema fiscale che servirebbe soltanto a drenare soldi nelle casse di partiti voraci e corrotti. Ma a ben vedere, il collante che tiene assieme le rivendicazioni grilline è l'universalizzazione della figura del proprietario, il riferirsi a una società di piccoli proprietari minacciati, nei propri diritti e nelle proprie tasche, da poteri proprietari più grandi, che di volta in volta possono essere incarnati dalle banche come dallo Stato, dalle multinazionali come dai partiti, dai gruppi economici come dalle istituzioni.

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