Loris Campetti
Fate girare meno bozze, aveva chiesto rispettosamente Pierluigi Bersani al presidente Mario Monti. Perché le bozze dei progetti di riforma, da che mondo è mondo, fanno entrare in fibrillazione le vittime predestinate. E siccome c'è bisogno di coesione, come ripete senza tregua Napolitano, meglio non eccitare gli animi. Il «professore» ha preso le parole del segretario del Pd come oro colato, infatti le bozze si moltiplicano. Viene da pensare, o da sperare, che le ipotesi informali di riforma del mercato del lavoro siano buttate in pasto ai giornali - o meglio a Repubblica - dalla ministra Fornero per vedere di nascosto l'effetto che fa. Aboliamo l'art. 18, anzi no, allarghiamo l'area delle realtà esentate con un'operazione di somme e sottrazioni tra aziende per rendere lo Statuto dei lavoratori esigibile solo in contesti lavorativi con più di 50 dipendenti. L'idea non piace ai sindacati? Allora eccone pronta un'altra veramente geniale: facciamo come dicono Boeri e Garibaldi, un bel contratto di ingresso dove i giovani assunti restano nel limbo per tre anni, senza art. 18 ma con un contratto che a fine espiazione della pena diventerà un contratto unico. C'è anche il nome, Cui, contratto unico d'ingresso.
Non siete contenti? Non sappiamo ancora i sindacati come reagiranno, per quanto ci riguarda noi non siamo contenti, anzi siamo per metà preoccupati e per metà incazzati - e la ministra ci scusi la franchezza. Ecco perché. Un imprenditore assume dei giovani e per tre anni li rovescia come calzini per vedere se sono flessibili, pronti a fare straordinari a go-go e a dire signorsì e spontaneamente. Meglio se sono docili e obbedienti, no? Ha tre anni di tempo il nostro imprenditore per selezionare il personale più servizievole e soprattutto, può licenziare quelli che non rispondono alle sue esigenze. Può farlo anche senza giusta causa, al massimo sarà tenuto a risarcire con qualche stipendio le sue vittime ma senza il dovere garantito dall'art. 18 a riassumerli nelle stesse mansioni. È la quadratura del cerchio, la formalizzazione di una pratica già anticipata, guarda caso, da Sergio Marchionne: il grande manager Fiat ha chiuso lo stabilimento di Pomigliano, ha imposto con un referendum-truffa un nuovo contratto che fa carta bruciata dei diritti e poi ha riaperto la fabbrica chiamandola in un altro modo. Ha iniziato le assunzioni e su mille «nuovi» dipendenti non ce n'è uno con la tessera della Fiom. Mutatis mutandis, è la stessa cosa che vuol fare Elsa Fornero, con la differenza che lei i diritti li sospende solo per tre anni, ma quanto a selezione del personale il sistema è identico.
Però, ci dicono, finalmente si porrebbe fine alla precarietà giovanile con il contratto unico invece di 50 forme contrattuali diverse. Aspettiamo di sapere quante eccezioni saranno introdotte, e, alla fine, quante saranno le forme contrattuali possibili. Non sfugga che, nel frattempo, il contratto nazionale unico è stato abolito, oltre che alla Fiat, in tutto il settore auto e ora dal governo Monti anche in ferrovia. E non sfugga che il vicepresidente di Confindustria Bombassei, che punta a diventare presidente, ha messo nel suo programma un menù dei contratti possibili, cosicché ogni azienda possa scegliere quello che preferisce.
Il coniglio nel cappello del governo si chiama Cui, e non possiamo non chiederci: cui prodest? Al padrone, verrebbe da rispondere. Ma noi, si sa, siamo diffidenti e un po' estremisti. Infatti pensiamo che, dentro una crisi che cancella centinaia di migliaia di posti di lavoro, alla base di ogni confronto sul mercato del lavoro dovrebbe esserci l'estensione a tutti i lavoratori dell'art. 18.