riforma_elezioni

di Alberto Lucarelli
La bagarre in atto sulla riforma elettorale - a tutela dei partiti o delle coalizioni - impedisce, di fatto, un reale rinnovamento del sistema della rappresentanza politica, così come sollecitato, in modo eclatante, dal voto del 6 e 7 maggio, come dalle elezioni dello scorso anno. Le proposte dei partiti contro la democrazia partecipativa rispolverano idee obsolete rispetto alle reali necessità sociali, economiche e politiche di un paese sull'orlo della recessione.

La riproposta, da parte del Pd, di un sistema elettorale a doppio collegio è aggravata dalle dichiarazioni di Dario Franceschini, sceso in campo a difesa del premio di coalizione. Non brilla la destra, ovviamente, dove, nonostante il verdetto delle urne, c'è chi si schiera per l'attuale Porcellum "corretto" con preferenze.
Il sistema elettorale di tipo proporzionale, pur non previsto espressamente dalla Costituzione, è tuttavia riconducibile alla stessa, in particolare, alla forma di governo parlamentare e di sistema delle garanzie in esso prevista.
A partire dai primi anni Cinquanta le tesi di Lavagna sulla illegittimità di un sistema di tipo maggioritario sono state quasi unanimemente accolte. Successivamente, a partire dagli anni Novanta, si è, invece, affermata una posizione contrapposta fondata sulla natura disponibile alla maggioranza delle scelte in materia di sistema elettorale e sulla compatibilità costituzionale del principio maggioritario. Principio considerato come un bene in sé e non in riferimento al contesto storico, politico e sociale nel quale è chiamato ad operare e rispetto alle funzioni cui assolve. Un principio cui è collegata, in ogni caso, l'efficienza e la stabilità di governo, finalità peraltro non raggiunte negli anni di attuazione di leggi elettorali ispirate al principio maggioritario, tanto mitizzate da far venir meno ogni preoccupazione circa il rischio, strettamente correlato, di schiacciare le minoranze e di vulnerare il principio democratico.
Il sistema proporzionale va ricondotto da un lato a disposizioni costituzionali che delineano il funzionamento degli organi costituzionali e, dunque il rapporto fra gli stessi (forma di governo), dall'altro a principi costituzionali fondamentali e, dunque, immodificabili che sarebbero innegabilmente compressi, quindi violati, dall'applicazione dell'opposto principio maggioritario.
Tra i primi vanno indicati tutti i principi costituzionali che prevedono specifiche maggioranze, in particolare tendenti a coinvolgere le minoranze, per la formazione degli organi costituzionali o, comunque, previsti in Costituzione: l'elezione del Presidente della Repubblica (art. 83 Cost.); l'elezione da parte del Presidente, come organo neutro, di un terzo dei giudici della Corte costituzionale (art. 135 Cost.); la formazione delle Commissioni parlamentari in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari. Ma credo che le stesse elezioni in Costituzione previste a maggioranza assoluta acquistino un significato diverso e certo meno garantistico rispetto alla funzione rappresentativa quando gli organi deliberanti siano eletti sulla base di una legge elettorale di tipo maggioritario.
Allo stesso modo, le deliberazioni che in Costituzione sono previste con maggioranze qualificate a partire da quelle relative all'approvazione dei regolamenti parlamentari (art. 64 Cost.), fino ad arrivare a quelle richieste dall'art. 138 Cost. per la modifica della Costituzione o la disciplina di materie di natura costituzionale, perdono quella funzione di rendere determinate scelte indisponibili alla semplice maggioranza politica in quanto di rilievo tale da richiedere un accordo il più possibile condiviso dalle diverse forze presenti negli organi rappresentativi e dunque espressione delle diverse forze esistenti nel Paese.
Occorre riflettere su quali cambiamenti siano ammissibili e quali, invece, non lo siano. In sostanza occorre distinguere fra modifiche indirette alla Costituzione legittime e modifiche, invece, illegittime.
In particolare, le norme riconducibili alla forma di governo e al sistema delle garanzia non appaiono immodificabili, tuttavia è evidente che laddove si apportino modifiche atte ad incidere sulla forma di governo, contestualmente andrebbero modificate in modo puntuale altre disposizioni relative al rapporto fra gli organi costituzionali al fine di rendere coerenti tali rapporti e inquadrabili in altra tipologia di forma di governo.
Un'altra argomentazione è quella a sostegno dell'illegittimità del principio maggioritario relativa al rapporto tra tale principio ed il principio di uguaglianza del voto di cui all'art. 48 Cost. interpretato alla luce dell'art. 3 Cost. Tali disposizioni sono attuate soltanto quando si assicuri il principio di uguaglianza del voto tanto in entrata, ossia al momento delle elezioni, quanto in uscita, ossia al momento della trasformazione dei voti in seggi. È chiaro che tale equivalenza è assicurata soltanto da un sistema proporzionale puro, come è altrettanto innegabile che il principio maggioritario la nega per definizione sovrarappresentando forze politiche e, quindi, sottorappresentandone altre.
Gli argomenti più forti a sostegno di un'illegittimità costituzionale del principio maggioritario stanno nei principi caratterizzanti l'ordinamento costituzionale italiano che, per effetto della legge elettorale, possono essere attuati o disattesi: il principio della sovranità popolare, il principio di uguaglianza sostanziale, il principio di uguaglianza del voto, l'indisponibilità della Costituzione a forze espressione di semplici maggioranze politiche o addirittura di minoranze. Scelte diverse saranno semplicemente indirizzate alla salvaguardia dell'attuale rappresentanza, in contrasto con modelli alternativi di democrazia fondati sulla partecipazione.
da Il Manifesto, martedì 15 Maggio 2012

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