guerrilla

di Francesco Gesualdi
Il nuovo vento che soffia in Europa forse ci permetterà di imboccare altre strade per la soluzione del debito. Un problema che va sicuramente risolto, sapendo però che ci sono due modi per farlo: dalla parte dei creditori o dei cittadini. La politica italiana, assieme a quella europea, finora ha scelto i creditori imponendoci sacrifici fatti passare come medicine per salvare l'Italia. Il ritornello lo conosciamo: siamo sotto costante esame dei mercati, se facciamo scelte a loro gradite abbiamo qualche possibilità di cavarcela, altrimenti saremo distrutti. Implicito riconoscimento che fra Stato e mercati ormai non comandano più parlamenti e governi, ma banche, fondi di investimento, hedge fund.


Ma il guaio è che non è sempre facile indovinare la cera più giusta, i mercati assomigliano a damigelle un po' viziate che si stancano subito del vestito appena indossato e con aria annoiata ne richiedono un altro. E se in un primo momento i mercati hanno brindato di fronte alla decisione dei governi di spremere le famiglie con un aggravio di tasse per garantire ai creditori interessi più alti, oggi si dimostrano insofferenti perché sanno che togliendo ricchezza alla gente si rischia di inceppare l'intero sistema, con danno anche per loro.
I tecnici economisti, quelli che sanno servire i mercati meglio dei politici, perché hanno studiato per questo, hanno fatto subito una proposta alternativa: non è dai redditi delle famiglie che dobbiamo ottenere il latte da somministrare ai mercati, ma dal taglio della spesa pubblica, che in Italia ha raggiunto gli 800 miliardi di euro, il 50% del Pil. Una vera bestemmia per i nostri dottori in economia, che si sbarazzerebbero volentieri di pensioni e assistenza alle famiglie (300 miliardi), sanità (100 miliardi), spese degli enti locali (240 miliardi), scuola (80 miliardi). Ma i tecnici d'oltreoceano hanno subito bocciato l'idea, nientepopodimeno che per bocca di Lawrence Summers, già ministro del Tesoro e consigliere economico della Casa Bianca. In un articolo apparso sul Financial Times del 30 aprile ricorda che il taglio della spesa pubblica ha un effetto demolitivo sul Pil pari a una volta e mezzo. Come dire che a ogni euro in meno di spesa pubblica corrisponde un euro e mezzo di contrazione del Pil. In effetti non ci vuole la laurea per capire che anche la spesa pubblica rappresenta domanda per il sistema e ogni sua riduzione si ripercuote negativamente sull'intera economia. Così i nostri tecnici lavorano contro la crescita pur invocandola dalla mattina alla sera, al pari dei mercati che coltivano il caos pur invocando la stabilità.
L'unico modo per uscire da questa politica fallimentare è un cambio di prospettiva. Dobbiamo smettere di inseguire i padroni della finanza e concentrarci sugli interessi dei cittadini. Allora scopriremo che la priorità non sono il Pil e la crescita, ma l'equità e i servizi. Due percorsi che, oltre a garantire benefici a ogni cittadino, portano prosperità all'intera economia perché rimettono in circolazione ricchezze nascoste, tutt'al più utilizzate in operazioni speculative.
Fra le prime misure il congelamento del debito, inteso come sospensione del pagamento di capitale e interessi, per toglierci dalla tempia la pistola dei mercati e riportare subito il bilancio pubblico in pareggio. Congelamento a tempo, accompagnato da un'approfondita indagine popolare per capire come e perché si è formato il debito in modo da individuare eventuali parti illegittime che si ha il diritto di ripudiare definitivamente. A seguire una seria riforma fiscale per ottenere un aumento del gettito fiscale dai grandi redditi e dai grandi patrimoni, che costituiscono comunque un sequestro di ricchezza parcheggiata in area improduttiva. E per finire una riqualificazione della spesa pubblica per sbarazzarci degli sprechi, intesi come privilegi e spese inutili, in modo da incanalare ogni euro verso il miglioramento dei servizi pubblici e il potenziamento degli investimenti pubblici in acquedotti, difesa del territorio, case popolari, scuole, ospedali, ferrovie locali. La vera speranza occupazionale risiede nell'economia pubblica che, se ben gestita, può anche adoperarsi per rilanciare l'economia privata, non quella orientata all'esportazione come i dottori in economia continuano a dirci, ma quella votata all'economia interna, a partire dall'agricoltura, ché di mangiare avremo sempre bisogno. Se le campagne disponessero di viabilità, trasporti, servizi scolastici, sanitari e tutto il resto che serve per una vita civile, chissà quanti giovani potrebbero tornare a fare i coltivatori diretti, specie se godessero di servizi di consulenza tecnica gratuita e naturalmente di credito agevolato. Il che apre tutta la questione del sistema bancario, anch'esso da riformare in profondità affinché le banche tornino ad occuparsi di credito al servizio dell'economia reale, in un'ottica di sostenibilità.
Un programma impossibile? Mercati, dottori in economia e lacchè della politica diranno che si tratta di solo delirio. E delirio sarà finché ci faremo intimorire dalle loro minacce e dai loro ricatti. Me se avessimo il coraggio di osare, ci renderemmo conto che il nemico è solo un grande pupazzo di cartapesta costretto a farsi da parte se non vuole finire sotto i piedi di un popolo deciso a marciare.
* Centro nuovo modello di sviluppo
da Il Manifesto, Giovedì 17 Maggio 2012

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