di Claudio Riccio
Una cortina di ferro sta calando nell’Europa. Nel marzo del ‘46, con un celebre discorso, Winston Churchill sanciva l’inizio della guerra fredda e soprattutto della divisione in blocchi dell’Europa, rendendo celebre l’espressione della “cortina di ferro”. O da una parte o dall’altra: muri, confini, frontiere invalicabili, materiali ed ideologiche. Questa volta non vedrete cartine geografiche che raffigurano la divisione dell’Unione Europea: le linee di demarcazione ci sono, ma non sono visibili.
Da un lato c’è chi sacrifica la democrazia sull’altare della finanza, dall’altro chi vuole autodeterminarsi, difendendo un’idea di società solidale, aperta, democratica ed egualitaria. Da un lato la repressione, dall’altro il dissenso. Centinaia di arresti al giorno, divieto di manifestare, una enorme zona rossa, ecco quel che è successo nei giorni scorsi a Francoforte, dove il variegato mondo dei movimenti sociali europei – per la prima volta dopo molti anni – si è riunito per una prima, importante manifestazione internazionale. La sfida, ovvero passare dalla mobilitazione internazionale ad un movimento europeo, è appena agli inizi, ma i primi passi sono stati fatti. Non è la prima volta che in Europa vengono sospesi i diritti democratici – si pensi ovviamente ai drammatici fatti di Genova 2001, o alla repressione del vertice ambientale di Copenaghen 2009 –, ma il fatto che questi divieti si applichino nella capitale finanziaria dell’UE assume una valenza simbolica ulteriore. Il distretto finanziario di Francoforte è il simbolo concreto della morte della democrazia, luogo in cui la complessa e secolare vicenda della democrazia europea viene uccisa due volte. Prima a causa delle politiche di austerity, tassello centrale della cessione di sovranità ai mercati, ormai liberi di saccheggiare welfare e beni comuni in tutto il territorio dell’Unione, ora con la sospensione dei diritti democratici e la repressione del dissenso.
Prima che – comprensibilmente – i media italiani venissero travolti dalle drammatiche notizie della bomba di Brindisi e del terremoto in Emilia Romagna, le notizie della mobilitazione e degli arresti a Francoforte erano comunque avvolte da un’altra cortina, questa volta fumogena, che ha offuscato totalmente la mobilitazione. Ben più rilievo viene dato oggi agli scontri e alla repressione a Chicago. Per la serie “basta che sia lontano da casa e se ne può parlare”, anche con un pizzico di esterofilia, che non manca mai.
L’ipocrisia della politica e dell’informazione italiana è ormai a livelli improponibili. Se a Mosca vengono arrestati i manifestanti la notizia è – com’è giusto che sia – sulle prime pagine dei giornali italiani: “violati i diritti fondamentali, nella Russia di Putin non si può manifestare”. Se a Francoforte, nella Germania della Merkel, ti arrestano perché non rinunci al tuo diritto di manifestare, si tratta invece di una normale gestione dell’ordine pubblico.
Lo straordinario corteo di sabato, al netto dei limiti organizzativi del cartello blockupy Frankfurt e della macchina repressiva, ha avuto una grande risposta da moltissime zone della Germania. Ciò dimostra che un fronte antisistemico è possibile anche nella prosperosa Germania e non solo in quel che resta della Grecia. Se i movimenti sapranno accrescere il proprio livello di coordinamento e non cadere nelle numerose e crescenti trappole della repressione, potranno aprire davvero degli spazi di possibilità e contribuire alla costruzione di un’Europa differente.
A Francoforte si è manifestato un solco, visibile a chiunque abbia la voglia di guardare oltre le molteplici cortine, di ferro o fumogene che siano: da un lato l’austerity, la distruzione dello stato sociale, e i dispositivi di controllo mediatici e repressivi; dall’altro lato il rifiuto di sottostare al ricatto del mercato e allo stato di polizia e il sogno di un’altra Europa. Non si può più stare nel guado.