di Roberta Fantozzi
La riuscita dello sciopero e delle manifestazioni del 6 settembre della Cgil e dei sindacati di base, è decisiva per riaprire una fase di conflitto in questo paese. Le mobilitazioni che attraverseranno l'Europa il 15 ottobre lo saranno altrettanto affinché si costituisca la novità necessaria: un movimento di massa continentale capace di essere soggetto di trasformazione, nella fase straordinaria che stiamo vivendo.
Nel tritacarne della crisi, nell'imbuto della coazione a ripetere con una gravità esponenziale, gli articoli di fede del neoliberismo, c'è la possibilità e la necessità che nasca qualcosa di nuovo.
Che l'inquietudine e le ribellioni che attraversano i paesi europei - dal mondo del lavoro ovunque sottoposto a impoverimento e perdita di diritti alle giovani generazioni che si vorrebbero deprivare di ogni futuro - nelle lotte si costituiscano in soggettività e possibilità di cambiamento. E' con questa consapevolezza che dobbiamo lavorare in queste ultime ore alla riuscita dello sciopero del 6.
La continua modifica dei provvedimenti ha contribuito all'opacità della discussione, gli stop and go hanno amplificato il caos della comunicazione mediatica. In corso d'opera il governo ha dovuto fare retromarcia su misure odiose e gravissime, sotto la spinta delle proteste che si sono levate o per il timore dei contenziosi e della palese illegittimità costituzionale di alcuni provvedimenti. Così è stato sulle pensioni, sull'incredibile norma che poneva in capo ai lavoratori pubblici le responsabilità dei dirigenti e sequestrava le tredicesime, e da ultimo su quel vero e proprio tentato golpe che, con la soppressione delle feste civili, del 25 aprile, del 1 maggio del 2 giugno, cercava di cancellare per decreto i fondamenti dell'identità nazionale, le tappe del percorso di conquista di diritti e libertà alla base della repubblica.
Il cambiamento di quelle scelte odiose è un atto dovuto, ma resta intatta la gravità estrema della manovra; e resta intatto il vero e proprio carattere eversivo di norme su cui la discussione è persino scivolata in secondo piano nel caos dell'iter parlamentare. Perché il segno di fondo della manovra resta quello di un attacco senza precedenti al lavoro, di un salto di qualità nei processi di privatizzazione e nell'attacco alla funzione pubblica; di una operazione di ulteriore e radicale redistribuzione alla rovescia ai danni della maggioranza della popolazione italiana.
L'articolo 8 varrebbe da solo uno sciopero generale. Per decreto si decide la soppressione del contratto collettivo nazionale e che da ora in poi i contratti aziendali potranno intervenire su tutti gli aspetti della prestazione lavorativa, anche in deroga alle leggi e alla Costituzione, in un elenco impressionante che va dalla presenza di impianti audiovisivi di controllo dei lavoratori, a mansioni e inquadramenti, orari di lavoro, fino ad arrivare alla soppressione dell'articolo 18 e alla libertà di licenziamento. Da qui in avanti le lavoratrici e i lavoratori si troveranno, nella crisi, azienda per azienda, territorio per territorio, ad un ricatto continuo in cui non vi è più argine per l'abbassamento di diritti e salari, nel dominio sancito del "mercato" e del ricatto delle imprese.
Insieme alla previsione dichiarata di modifica dell'articolo 41 della Costituzione e di costituzionalizzazione del pareggio di bilancio, il disegno è il compiuto sfiguramento della lettera e della sostanza della Costituzione ed un imbarbarimento sociale e civile senza precedenti.
E che dire delle norme sui servizi pubblici locali in spregio al referendum, del nuovo attacco agli enti locali e alle regioni con il terzo intervento di tagli pesantissimi in tre anni, dell'accanimento di cui sono oggetto le lavoratrici e i lavoratori pubblici? E' la funzione pubblica in quanto tale che si vuole distruggere; è la ricetta barbara per cui si pensa di uscire dalla crisi aprendo nuovi processi di mercificazione dei beni comuni come del welfare.
Liberazione 4 Settembre