120609bersanirenzidi Daniela Preziosi
Il leader si lancia come premier e rilancia verso l'alleanza fra progressisti, moderati e liste civiche No al semipresidenzialismo ma sulla riforma elettorale si continua a lavorare. A ottobre urne aperte a tutti, Renzi e Vendola apprezzano. Bersani all'unanimità non scontenta nessuno, difende anche le nomine alle authority. Ma minaccia l'Idv: decida se insultarci o venire con noi All'uscita della riunione la contestazione dei sindacati di base. «Abbiamo fermato i licenziamenti facili, oggi lo spiegheremo alla Fiom»
Le primarie si faranno «entro l'anno», saranno aperte ai candidati Pd - per consentirlo l'assemblea nazionale del 6 luglio voterà la deroga allo statuto - e anche agli alleati e alla società civile. Alla riunione della direzione Franco Marini e Cesare Damiano avvertono che le candidature multiple nelle città hanno sempre portato sciagure al Pd. Ma Bersani ha deciso. E quelli dello staff giurano che lo ha fatto prima di vedere i sondaggi che lo danno vincente su qualsiasi altro competitor. Comunque sia, le urne si apriranno fra ottobre e novembre.
Renzi, seduto da una parte e insolitamente taciturno, apprezza. In realtà fiuta la fregatura: ma ormai la macchina della sua corsa è partita, ha anche lo slogan 'Stil novo' che guarda caso è il titolo del suo ultimo libro. Chi lo frequenta dice che lui però, i sondaggi, li sta facendo adesso.

Sta anche 'sondando' le anime del partito che fin qui lo hanno coccolato: lettiani e centristi di varie parrocchie, che fin qui lui stesso aveva tenuto a distanza (ma pende il caso giudiziario dell'ex tesoriere della Margherita Lusi, che sostiene di avergli dato due finanziamenti per la kermesse della Leopolda, il sindaco lo ha querelato). Per ora questi 'sondaggi' non hanno successo, però: è improbabile, per esempio, che Enrico Letta lasci la vicepresidenza del partito per finire nella minoranza renziana. Pippo Civati, ex compagno di rottamazione, sorride. Tentato di appoggiare Renzi? «Piuttosto è Renzi tentato dall'essere appoggiato da altri che non se stesso». D'Alema ironizza: «Facciamo le primarie lo stesso giorno del Pdl, così loro non votano alle nostre», battutaccia: Renzi ha incassato l'endorsement di Denis Verdini.
La giornata campale della direzione finisce con un voto all'unanimità sulla relazione del segretario. Grande classico del Pd: se le suonano di santa ragione ma poi alzano la mano tutti assieme. Civati ritira l'ordine del giorno per il limite dei tre mandati e le primarie per i deputati, lo ripresenterà nell'assemblea nazionale.
Bersani non scontenta nessuno, su questo ha un vero talento. Lancia per l'ennesima volta «un centrosinistra di governo aperto a un patto di legislatura con forze democratiche e civiche moderate» qualsiasi cosa significhi, dalle liste di Repubblica all'Udc. Dice no al semipresidenzialismo ma concede tre settimane a Alfano per un accordo sulla legge elettorale. Il Pd propone almeno un ritocco alle liste bloccate, al meglio il doppio turno. «Non capisco: proponiamo le primarie di coalizione ma anche una legge che non prevede coalizioni?», commenta perplesso Matteo Orfini. Che fa l'intervento più esplicito sul brutto baratto delle nomine alle authority: «Abbiamo fatto una figuraccia per assecondare un capriccio di corrente. Ma ogni genitore sa che se il figlio fa un capriccio prima gli si spiega che è un capriccio e poi non gli si compra il gelato. Noi gli abbiamo comprato il gelato». Ce l'ha con Dario Franceschini che ha manovrato a favore della nomina alla privacy di Antonello Soro ('core grato': nel 2009 Soro gli ha lasciato la guida dei parlamentari Pd). Dura anche la prodiana Sandra Zampa (il Professore aveva detto: «La spinta al suicidio di questo partito non ha limiti»). «E allora perché le avete votate?», replica Stefano Fassina.
I 'neolaburisti', l'area che aveva ipotizzato il voto in ottobre, sono gli unici che Bersani maltratta: «Non regaliamo alibi alla destra, tutte le critiche al governo debbono stare al di qua dell'induzione all'instabilità». Si può «tirare la corda» criticando anche pesantemente la riforma Fornero e quella delle pensioni, come fa l'ex ministro Damiano, ma guai a spezzarla. Però Bersani dovrà trovare le parole per spiegarlo alla Fiom di Landini, che oggi l'ha invitato a discuterne. Ma sarà dura: un folto gruppo di sindacalisti di base contesta sotto la sede del Nazareno proprio la manumissione dell'art. 18. Con loro le parole non le trova nessuno.
Al voto nel 2013, dunque. Eppure, ragionano persino i bersaniani, se si faranno le primarie a ottobre su un programma per una coalizione «progressista» («Diciamo riformista, ché non porta male», sfotticchia Beppe Fioroni ricordando la sconfitta di Occhetto), da quel momento il governo non combinerà un gran ché: ma non è più o meno quello che sostenevano Fassina e Orfini?
Quanto alla coalizione progressista, poi, Vendola applaude: «Parole di Bersani importanti, danno fiato e ossigeno». Di Pietro invece dice no al patto «a scatola chiusa». Bersani intima: «Scelga se insultarci o chiedere di stare con noi. C'è una serie di dichiarazioni di Di Pietro irraggiungibili per Grillo, c'è un limite a tutto, ne parleremo». Uomo avvisato: inizia la campagna elettorale, se l'Idv la vuole fare contro il Pd si accomodi fuori. E se la faccia con Grillo.

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