di Franco Astengo
Il riferimento contenuto nel titolo non è rivolto tanto alle “primarie di coalizione” lanciate ieri dalla Direzione del PD (prontamente imitata, mi pare, anche dal PDL, non si capisce bene se per gli incarichi interni o per la futura proiezione elettorale) ma piuttosto all’apparire, nel variegato scenario della residua sinistra italiana, del solito appello sottoscritto dai più o meno soliti intellettuali per sostenere la candidatura (non nuova, peraltro) di Claudio Fava alla presidenza regionale della Sicilia (la consultazione elettorale avrà luogo nel prossimo ottobre).
Prescindendo dalla stima che si può nutrire nei riguardi del soggetto prescelto, sorprende, invece, che non si apra mai una riflessione e non si tragga mai un bilancio di questa, più recente, stagione politica contrassegnata appunto dall’introduzione, all’interno del sistema politico italiano, del meccanismo del maggioritario, dell’elezione diretta, delle primarie (ovviamente “non regolamentate” all’italiana, senza che mai si provveda alla determinazione preventiva dei richiedenti diritto a partecipare, che rimane l’elemento fondamentale da attuarsi per definire i contorni di regolarità di una competizione di questo genere: i casi Napoli e Palermo dovrebbero pur aver insegnato qualcosa, almeno sotto questo profilo).
Tralascio quindi l’esposizione di elementi di natura più squisitamente legati all’analisi politologica e vengo al “dunque”: l’introduzione, contemporanea, del meccanismo dell’elezione maggioritaria e della definizione di una fortissima “cifra” personalistica nei meccanismi concreti riguardanti la dinamica del sistema politico italiano coincisero a cavallo del 1993-1994 non tanto all’apertura dell’effimera stagione dei “sindaci”, quanto quella, ben più duratura e devastante, dell’egemonia di Silvio Berlusconi (candidatosi in condizioni, come ha sempre ricordato il prof.Sartori di incandidabilità) sull’intero sistema.
Da allora a oggi, qualsiasi competizione elettorale, da quella europea a quella per il più piccolo comune è sempre stata fatta apparire come un referendum pro o contro il personaggio: gli esiti di quella stagione, non ancora terminata, sono sotto gli occhi di tutti e non vale la pena di commentarla. Nel concreto il post-Berlusconi è rappresentato dal governo più ferocemente anti-popolare, liberista, di destra mai comparso sulla scena almeno a partire dalla Liberazione a oggi.
In secondo luogo, nel corso della stagione maggioritario-personalistica , mirabili corifei di regime hanno aperto la “terza camera” direttamente sugli schermi televisivi (in varie versioni, beninteso: ossequio, populismo, finto democraticismo, voce alla piazza, ecc,ecc.) contribuendo a distruggere quello che era rimasto dell’identità organizzativa e politica dei partiti, riducendoli (con grande gaudio dei loro ceti dirigenti, in meccanismi provvisti di mera capacità di nomina e di spesa, in moda da inaugurare una nuova, inedita, puntata della “questione morale” di tali dimensioni da squassare quasi completamente la credibilità del sistema).
Il terzo punto riguarda la vertiginosa “decrescita” nel numero dei partecipanti al voto: siamo ormai al livello di una buona metà degli aventi diritto che preferisce disertare le urne (paradossalmente la percentuale cresce quando, in luogo dei “faccioni” centrali e periferici, sono da votare questioni concrete: vedi referendum. Ricordo ancora, per l’ennesima volta, che l’attuale Sindaco di Genova è stato eletto con il 22,5% dei voti delle genovesi e dei genovesi iscritti nelle liste elettorali. Un dato estremamente indicativo in una città dalle fortissime tradizioni democratiche, nella quale il 25 Aprile 1945, caso unico in Europa, il comandante della piazza tedesca si arrese nelle mani di un operaio, comunista, rappresentante del CLN).
Il quarto elemento da tenere in considerazione riguarda l’emergere, in questo bailamme, di facili fortune per non meglio identificati improvvisati “scalatori” del consenso, provvisti dal punto di vista della dinamica relazionale con il pubblico, di elementi molto più pregnanti che non quelli a disposizione dei politici professionisti che si sono addentrati per quella via: insomma è più facile per un comico improvvisarsi “politico” in queste dimensioni, che per un funzionario cresciuto a Botteghe Oscure (che negli anni’80 scriveva saggi di filosofia politica su “Rinascita”) a improvvisarsi comico, si può avere un successo effimero per assenza di competitori, ma quando entrano in scena i professionisti allora non c’è partita.
Nel frattempo la sinistra italiana è sparita dalla scena parlamentare (una lacuna gravissima, esiziale) dopo aver sperimentato, grazie all’assiduità del Presidente della seconda Camera sulle poltroncine della Terza e il rapporto con i movimenti, il brivido del tenere assieme “autonomia del sociale” e “autonomia del politico" (televisivo). Risultato: zero spaccato. Parafrasando Nenni, “schermi pieni, urne vuote”.
Insomma, per finire: è mai possibile che nessuno si metta lì, con pazienza e voglia di ragionamento, per cercare di mettere in fila questi fatti (e non parole) cercare di trarne delle conclusioni, ritornare a riflettere sul concetto di rappresentatività politica, di organizzazione, struttura, dibattitto collettivo: al termine del quale si possono trovare i termini per indicare delle persone, com’è necessario.
Perché tutto questo non accade? Perché la nostra ragione politica si è così anchilosata a ridurci al modello dominante dell’avversario? Perché coltiviamo questa illusione, non verifichiamo i risultati concreti e, soprattutto, perché non ostacoliamo sul serio chi sta usando questa crisi per massacrare i ceti sociali più deboli, gli operai, le donne, i giovani, i pensionati?
Il “sonno della ragione – scriveva Goya – genera mostri”.