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di Gaetano Azzariti
Uno spettacolo francamente scadente quello che si sta rappresentando in Senato e dintorni. Verrebbe la voglia di abbandonare la sala, magari chiedendo anche il rimborso del biglietto. Se non fosse che la sceneggiata non è fine a se stessa, ma rischia di travolgere gli equilibri costituzionali del Paese: stanno giocando con il fuoco e rischiamo di finire bruciati tutti noi. La storia è nota (almeno ai lettori de il manifesto, tra i pochi a dedicare spazio alle ultime vicende di riforma costituzionale).
I partiti che sostengono il governo (Pdl, Pd e Udc) hanno elaborato un testo di modifica di molti articoli della Costituzione: dietro la foglia di fico della riduzione del numero dei parlamentari - misura quanto mai popolare - si sono nascoste un insieme di norme che hanno destato diffuse critiche tra i più autorevoli studiosi (vedi per esempio l'appello sottoscritto da 12 giuristi e pubblicato su La Repubblica) e le più impegnate associazioni della società civile (da Libertà e Giustizia al Comitato Salviamo la Costituzione). La capacità di ascolto delle forze politiche è stata pari a zero. Senza neppure provare a dare una risposta ai fondati e allarmati interrogativi che venivano rivolti, il Senato ha voluto forzare i tempi, approvando il testo in Commissione, con il consenso unanime dei proponenti ma senza una reale discussione, per poi tentare di fare approvare il "pacchetto" in aula, ancora una volta con tempi da cardiopalma.
Giunti visibilmente impreparati alla decisione sulla riforma costituzionale, ecco però il colpo di teatro. Per motivi puramente tattici, nel disperato tentativo di recuperare un credito politico ormai svanito, Angelino Alfano e Silvio Berlusconi, propongono di passare a un'altra Costituzione: visto che va di moda la Francia, chiamiamola semipresidenziale. È del tutto evidente che al Pdl non importa granché della Costituzione - la storia passata ce lo ha dimostrato - e che lo scopo principale della proposta sia quello di aprire una trattativa con le altre parti politiche. Offre, infatti, al Pd la legge elettorale a doppio turno, alla Lega il Senato federale. Questo dunque lo slogan: «Costituzione vendesi al miglior offerente».
Ciò che ha dell'incredibile - che qualifica lo spettacolo cui assistiamo - è che questa messa in scena viene presa seriamente e produce divisioni all'interno degli altri partiti. I quali anziché seppellire con una risata («una risata vi seppellirà» era l'illusione della nostra gioventù) l'offerta del centrodestra, cominciano a ritenere che in fondo - perché no! - si può anche approfittare della proposta indecente per conseguire un insperato risultato. Così il Pd si spacca tra chi è apparso subito contrario e coloro che in nome della governabilità e della tutela degli interessi dei partiti più forti sono disposti a tutto, anche a barattare l'elezione diretta del Capo dello Stato per un sistema elettorale congeniale alla propria parte. È vero, alla fine - per fortuna - è prevalso il buon senso e il gruppo parlamentare ha preannunciato il voto contrario all'emendamento "semipresidenziale", ma a costo di un'evidente acrobazia logica e di una forzatura dialettica. Nel momento in cui rifiuta di votare per cambiare la nostra forma di governo, la capogruppo del Pd al Senato si è però sentita in obbligo di chiedere un referendum costituzionale d'indirizzo sullo stesso tema: evidentemente una mossa disperata per tenere unite le diverse anime del partito. Una richiesta che mostra impietosamente la divisione e l'incapacità del maggiore partito di dotarsi di un'unitaria e condivisa politica costituzionale. Un brutto segno.
Dalla Lega non ci si poteva aspettare invece nulla di diverso. Già in tempi passati - durante la Bicamerale presieduta da Massimo D'Alema - abbiamo assistito al gioco del voto a sorpresa al solo fine di far saltare il tavolo. Ancora oggi, come allora, i voti leghisti sono al servizio della Padania e, dunque, non importa nulla della forma di governo del Paese, ciò che appare decisivo è il Senato federale.
Ed eccoci dunque giunti all'atto finale. Alla vigilia di un voto sul futuro della nostra Costituzione, appesi agli umori di due attori (Pdl e Lega) che erano già usciti di scena, ma che l'insipienza, il tatticismo, la volontà di potenza, l'insofferenza per l'ascolto delle poche voci critiche da parte delle forze politiche "più responsabili" sono riuscite a far tornare.
Alla fine - io credo e spero - la tragedia si tradurrà in farsa. Vedrete che le forzature non passeranno e che anche questa "grande" riforma costituzionale deflagrerà. Per le contraddizioni interne alle forze politiche, per l'eccesso di furbizia che alla fine non paga, perché la forza e la serietà della nostra Costituzione sono maggiori rispetto alla debolezza e alle disinvolture dei suoi antagonisti. Confido fermamente sul fatto che anche quest'ultima forzatura costituzionale non andrà lontano e non giungerà al traguardo. Rimarranno però sul campo vittime e macerie. È sempre più urgente che le voci critiche siano ascoltate, non potremo continuare a marciare ancora a lungo tra le rovine.
da Il Manifesto, Sabato 23 Giugno 2012

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