6 paraguay

di Geraldina Colotti
Con una maggioranza schiacciante - 39 a 4 e due deputati assenti - il Senato del Paraguay ha votato la destituzione del presidente Fernando Lugo per «inettitudine e mancanza di decoro». Giovedì, il Parlamento aveva dato il via libera alla procedura del «giudizio politico» con 76 voti a favore e uno contro. Subito dopo, i senatori hanno presentato un regolamento ad hoc e formalizzato il processo a tempo di record. La principale accusa contro il presidente è quella di aver favorito un'occupazione di terre da parte dei contadini, il 15 di giugno. In quella data, nella località di Curuguaty, a 250 km a nordest di Asunción, i senza-terra avevano recuperato una riserva naturale di proprietà di un imprenditore, Blas Riquelme, senatore del Partito colorado (conservatore) che ha dominato il paese per 62 anni. A seguito dell'intervento della polizia, gli scontri seguiti avevano provocato 17 morti, 11 contadini e 6 poliziotti. In un breve comunicato, Lugo aveva espresso il suo «sostegno assoluto» alle forze di polizia e presentato le condoglianze ai parenti delle vittime. Poi aveva convocato il ministro dell'interno e il comandante in capo delle forze armate, mentre il potente (e corrotto) Senato si riuniva in seduta straordinaria per decidere l'eventuale stato d'assedio nella zona degli scontri. L'atteggiamento di Lugo, pronto a ogni tipo di mediazione al ribasso quando i poteri forti alzavano la voce, non gli ha però impedito di essere estromesso dalla partita a nove mesi dalla fine del suo mandato di cinque anni. I senatori lo hanno anche accusato di aver autorizzato alcuni partiti di sinistra a organizzare una riunione politica in una base militare nel 2009, di aver permesso a 3000 occupanti di entrare illegalmente in una coltivazione di soya di proprietà di imprese brasiliane, di non aver arrestato i guerriglieri dell'Esercito del popolo paraguayano e d'aver firmato un protocollo di intesa internazionale (con i paesi progressisti dell'America latina) senza averlo prima sottoposto al Congresso. Come prevede la Costituzione, ha assunto l'interim il vicepresidente Federico Franco, 49 anni, medico, esponente del Partito liberal radical autentico (Plra): la componente più a destra nella variegata coalizione (una ventina di formazioni, in maggioranza di sinistra), che ha portato al governo l'ex «vescovo dei poveri» nel 2008. Il Plra è stato l'unico partito di «opposizione» consentito durante la feroce dittatura di Alfredo Stroessner (del Partito Colorado), che ha tenuto in pugno il paese per 60 anni. E quali siano le sue naturali inclinazioni politiche, Franco lo aveva mostrato pubblicamente il 18 agosto del 2006 quando, nell'imbarazzo generale, aveva reso pubblico omaggio all'ex-dittatore, scomparso qualche giorno prima. L'alleanza tra Lugo e Franco si era incrinata fin dai primi mesi della sua presidenza, ai primi accenni di un rimpasto ministeriale che avrebbe dovuto agevolare le riforme sociali promesse dal presidente in campagna elettorale: lotta alla povertà e, soprattutto, una riforma agraria. L'ex religioso cattolico (aveva dismesso la tonaca nel 2006), non ama essere definito di sinistra, ma «progressista», e di certo non ha governato fidando sulla piazza che lo ha eletto. Né ha fatto il diavolo a quattro contro la decisione di ancorare per 4 anni alla votazione del Senato il voto per l'ingresso a pieno titolo del Venezuela nel Mercosur. Per i pochi spazi di agibilità aperti ai movimenti, i buoni rapporti con i paesi progressisti dell'America latina, la sua sola presenza è apparsa però fin da subito un'insopportabile anomalia. Soprattutto agli occhi di Washington. Lo hanno evidenziato anche i documenti di Wikileaks svelando le vistose manovre della Cia per esacerbare i conflitti istituzionali nella presidenza Lugo e accelerarne la dipartita. In un paese cattolico al 90%, la grancassa sui figli illegittimi del presidente, concepiti quando era ancora vescovo, hanno poi ulteriormente messo a rischio la sua credibilità. Ora la partita è riaperta, senza Lugo, per le presidenziali che si terranno nell'aprile 2013. Franco resterà in carica fino ad agosto dello stesso anno e il suo partito può anche correre nel campo di opposizione. Per l'America latina progressista, quello contro Lugo è stato un «golpe istituzionale», un colpo di stato come quello messo in atto in Honduras contro Manuel Zelaya, a giugno del 2009. Subito dopo la destituzione - accettata da Lugo con un discorso mesto, ma senza grandi proteste - una manifestazione in suosostegno è stata repressa dalla polizia davanti al Parlamento. La settimana prossima, l'Unione delle nazioni sudamericane (Unasur) deciderà l'atteggiamento da prendere verso il governo di transizione. Già Argentina, Venezuela, Bolivia e Ecuador hanno anticipato che non riconosceranno la presidenza di Federico Franco. Il Paraguay potrebbe essere oggetto di sanzioni commerciali o essere espulso dall'organismo internazionale.

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