euro-vortice

Intervista a Guido Viale di Tonino Bucci

L'euro è a un passo dal precipizio. Ormai lo riconoscono anche i più convinti europeisti. I segnali di cedimento dell'unione monetaria, i soliti, si ripetono. Ieri la Borsa di Milano ha chiuso a meno quattro e sono calati tutti i mercati azionari in Europa. Lo spread è arrivato a 455 punti dopo aver aperto a 421. Quello tra i titoli di stato spagnoli e i bund tedeschi, invece, ha toccato quota 517. Il rendimento dei bund tedeschi a 10 anni è poco al di sotto dell'1,5 per cento, quello dei Btp italiani è al 5,986 per cento, mentre nel caso dei bons spagnoli al 6,559 per cento. L'impressione è che il treno dell'euro zona sia lanciato a folle velocità verso il precipizio senza che nessuno azioni lo scambio che potrebbe deviarne la corsa. Una dopo l'altra, i governi hanno applicato tutti le misure di austerità sponsorizzate dai vertici europei. Alle elezioni in Grecia ha vinto il partito disposto ad accettare il memorandum imposto dalla Troika. Eppure, la crisi rimane. E più si insiste con le strategie del rigore, più le contraddizioni all'interno del sistema si riproducono. Lo scenario di una deflagrazione dell'euro non è più un'ipotesi da fantascienza. Non a caso, in questi giorni si discute animatamente di ritorno alla lira. A cavalcare l'antieuropeismo ci prova la destra berlusconiana. L'uscita dall'euro, accompagnata da una manovra di svalutazione, trova un certo consenso anche in una parte del mondo imprenditoriale, speranzoso per questa via di recuperare una maggiore competitività nelle esportazioni. Anche la sinistra ragiona sullo scenario del ritorno alla moneta nazionale, ma in questo caso la questione è molto più complessa. Una lira svalutata comporterebbe quasi immediatamente inflazione ed erosione dei redditi medio-bassi. Per questo l'opzione principale a sinistra sembra ancora essere quella di rimanere nell'euro, cambiandone le regole. Ma se si fosse costretti ad uscirne dal precipitare dei fatti? Ne parliamo con l'economista Guido Viale.

E' verosimile, nonostante tutto, un ritorno alla lira?
E' impossibile. Innanzitutto, non esistono procedure per uscire dall'euro. Secondo, se uno Stato davvero uscisse, in maniera incontrollata e non concordata – e ci riuscisse – questo avrebbe effetti immediati su tutto il sistema monetario europeo, causandone la deflagrazione. Ma anche nel caso di un tracollo dell'euro a breve, secondo me, non ci sono le condizioni per introdurre le monete nazionali, né in un singolo stato che facesse default, né nell'insieme degli Stati. Quindi andremo avanti con l'euro e se anche l'euro dovesse fallire, questo sarebbe un problema che gestirebbero le autorità monetarie europee e gli Stati nazionali tutti assieme. Ma a quel punto il problema si sposterebbe nella dimensione planetaria.

Dopo il risultato del voto greco si è discusso se, col senno di poi, la scelta di Syriza di puntare alla rinegoziazione del debito ma di non uscire dall'euro, sia stata o meno una buona scelta. Sarebbe potuta andare diversamente?
Tutta la campagna contro Syriza è stata impostata su una menzogna plateale e non si è riusciti a smentirla nonostante il suo leader Tsipras abbia ripetuto in tutte le interviste che nel programma non c'era né l'uscita dall'euro, né l'uscita dall'Unione Europea. La campagna d'opinione è stata impostata sul tentativo di utilizzare la paura del fallimento e dell'uscita dall'euro. Il fine era di ottenere dai futuri governanti che avrebbero vinto le elezioni, l'accettazione di quelle condizioni iugulatorie che la Troika ha imposto alla Grecia e sta imponendo via via a tutti i paesi, cioè l'abbattimento dei livelli salariali, delle pensioni, dell'occupazione e la privatizzazione di tutte le risorse comuni.

Se avesse vinto le elezioni Syriza, l'establishment europeo avrebbe acconsentito alla rinegoziazione? C'erano margini di trattativa?
I margini ci sono. Basta che qualcuno si impunti. Il governo Monti avrebbe molta più forza della Grecia perché il fallimento dell'Italia avrebbe conseguenze più drammatiche su tutto il sistema europeo. Se poi si formasse un fronte dei paesi che oggi sono sotto scacco – Portogallo, Spagna, Italia e Grecia – con una piattaforma unitaria per la rinegoziazione dei loro debiti, imponendo la moratoria sul pagamento degli interessi e sulla restituzione del debito, senza annullarlo, ma semplicemente procrastinandolo e congelandolo, la voce di questo gruppo di paesi verrebbe ascoltata per forza. Non ci sarebbero alternative. Se, invece, questi stati vanno avanti in forma sparsa o, addirittura, facendosi la concorrenza, la loro posizione è molto più debole. E infatti questi paesi oggi sono l'uno contro l'altro. Monti si è più volte compiaciuto del fatto che il nostro paese non è nelle stesse condizioni della Grecia e che siamo anzi messi molto meglio della Spagna. Io credo che sia una politica suicida che rafforza le posizioni di chi vuole usare questa congiuntura per ottenere quelle misure antipopolari che oggi vengono chieste dai mercati, cioè dal capitale finanziario.

Non si capisce fino in fondo l'interesse della Germania a sostenere le misure di austerità. Finora è il paese che economicamente ha guadagnato di più dall'euro. Ma se continua nelle proprie posizioni rischia di far saltare tutto, no?
Sicuramente, a meno che non siano cretini, avranno messo in conto che non si arriverà al punto di rottura. Ma nel frattempo riusciranno a ottenere dai loro partner europei tutto quello che può tornare a loro vantaggio. Oltretutto ci sono anche interessi di carattere elettorale. La Merkel ha costruito il proprio consenso sulla mitologia che i tedeschi starebbero pagando per tutti. In realtà sta accadendo proprio il contrario. Solo che a questo punto diventa difficile per la Merkel fare marcia indietro e smentire se stessa. Almeno fino alle elezioni cercherà di tenere in piedi questa mitologia.

Sta di fatto che l'ipotesi di una deflagrazione a breve della moneta europea comincia ad apparire probabile a una buona parte dell'opinione pubblica. Se il crollo è così imminente non sarà il caso di prepararsi al ritorno alla lira? La proposta comincia a circolare...
Il ritorno alla lira, in Italia, lo propongono solo Grillo – e non so se abbia un'idea precisa nel merito – e alcuni economisti, sia di destra, sia di sinistra. A me è capitato di polemizzare con Alberto Bagnai che sostiene questa ipotesi. Io penso che sia una posizione irrealistica che si regge soltanto sulla previsione che l'uscita dalla moneta unica provocherebbe solo una svalutazione della moneta nazionale e, quindi, un aumento di competitività. C'è chi ritiene che in questo modo l'Italia possa ripetere quelle manovre di svalutazione che nei vent'anni precedenti all'introduzione dell'euro le avevano consentito di rafforzare il proprio export. Ma nelle condizioni attuali quella situazione non si potrebbe ripetere. E' impossibile che le esportazioni italiane possano crescere a discapito di quelle tedesche, neppure se la nostra moneta valesse la metà di quello che vale oggi con l'euro. E poi la ripresa del nostro apparato produttivo, come quello di tutti i paesi in crisi, non può avvenire che tramite una riconversione ecologica, un cambiamento delle basi produttive e del tipo di prodotto. La produzione va indirizzata soprattutto sul mercato interno e meno sulle esportazioni, salvaguardando, certo, quelle imprese che in questi anni hanno mantenuto una forza sui mercati internazionali.

Il rischio maggiore è che l'inflazione venga scaricata sui salari. Il ritorno alla lira potrebbe avere effetti devastanti sui redditi medio-bassi. Ma si possono ipotizzare strategie alternative di gestione dell'eventuale ritorno alla lira?
Nel caso in cui non si arrivi alla catastrofe e al congelamento del debito a livello continentale, l'unica altra possibilità di riassorbire il debito pubblico – che in queste condizioni e con questi tassi è insostenibile – è quella di una ripresa massiccia dell'inflazione che erode il potere d'acquisto delle classi popolari, ma al tempo stesso erode anche il valore del debito accumulato. E' il modo classico in cui tutti i paesi che non abbiano fatto esplicito fallimento, hanno nel tempo riassorbito una percentuale fondamentale del loro indebitamento. Ma la premessa è che io non credo che in Italia né in Europa complessivamente, sia ipotizzabile la ripresa della crescita a ritmi così sostenuti da consentire il riassorbimento del debito attraverso l'aumento del Pil e delle entrate fiscali che se ne possono ricavare.

In linea di principio si potrebbe convivere senza problemi con un debito pubblico alto. Finché i vertici europei insistono con le politiche recessive, le misure di austerità e il dogma del pareggio di bilancio la crescita rimane una pia illusione. Non è così?
Il pareggio di bilancio è la più grande bufala del mondo. A parte il fatto che l'hanno messo in Costituzione, a parte l'atteggiamento antidemocratico con cui hanno stabilito questa misura, il vincolo del pareggio di bilancio è un'ipotesi talmente cretina e irrealizzabile che fa vedere tutta la pochezza teorica e l'incapacità di analisi e di previsione che caratterizza il governo Monti. E' assolutamente escluso che nel 2013 e anche nel 2014 l'Italia possa raggiungere il pareggio di bilancio. L'aver approvato il Fiscal compact, in particolare, significa dover destinare 40-50 miliardi all'anno per la restituzione del debito, oltre a cento miliardi circa di ammontare degli interessi. Una misura insostenibile. Ed essendo l'obiettivo impossibile da raggiungere si sarà costretti a violare la Costituzione. Hanno fatto una modifica costituzionale sapendo che, così com'è, la Costituzione non sarà mai rispettata. Come fosse un pezzo di carta da poter stracciare in qualsiasi momento e impunemente.

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