di Romina Velchi
Non è un ultimatum, è un appello; e come tale lascia, per ora, le cose come stanno. Di Pietro e Vendola, insieme, ieri in conferenza stampa hanno usato tutte le armi a disposizione per sganciare il Pd da Casini (o meglio per impedire che l'alleanza sia a due, con al più qualche comprimario, o addirittura che sia «amputato»), ma stando ben attenti a non chiudersi tutte le porte alle spalle. Anzi, Di Pietro (pesantemente criticato per le esternazioni contro il presidente della Repubblica nella vicenda delle intercettazioni) ne ha persino approfittato per fare gli auguri di compleanno a Napolitano, per dimostrare che lui rispetta «tutte le istituzioni», che lui ha «sempre servito», ma che questo non deve significare che lui debba «condividere tutto ciò che fanno».
Premesso che, esordisce Vendola, «mettere in campo un centrosinistra è una necessità per il paese» vista la drammatica condizione economica che sta stritolando il paese a causa delle politiche liberiste della destra, quello che i due leader propongono è «aprire un cantiere», costruire «luoghi» per «tessere la tela programmatica» e «allargare l'interlocuzione» con tutti i partiti interessati (anche con Casini, dunque, perché «non è impedito il compromesso o il dialogo con i moderati»), ma non solo. Sullo sfondo c'è, infatti, il lavorio che soprattutto l'Idv sta portando avanti in giro per l'Italia, che se non è un "partito dei sindaci" poco ci manca. Che si sarebbe potuto materializzare proprio ieri se gli assestamenti di bilancio che tengono occupati i sindaci in questi giorni non avesse impedito a Pisapia, Doria, De Magistris e Orlando di essere presenti alla conferenza stampa (i primi due hanno inviato un messaggio). E certo avrebbe dato tutto un altro peso "all'appello" lanciato al Pd. Mentre oggi sempre l'Idv riunisce a Bari i primi cittadini delle quattro più grandi città del Mezzogiorno.
Eh sì, perché, come dice Vendola, il centrosinistra «c'è dappertutto, ma non c'è in Italia», a causa, sostanzialmente, delle scelte del Pd. E se il partito di Bersani pensa ad «un'alleanza preferenziale» con l'Udc, la risposta è: «Non mi interessa». Perché, concorda Di Pietro, «noi proponiamo un modello di governo» e non vogliamo fare una «sommatoria numerica»: «Se essere moderati vuol dire abolire l'articolo 18 - taglia corto l'ex magistrato - con i moderati non possiamo stare». In altre parole, «il Pd deve chiarire la sua posizione sul piano del programma», visto che il partito di Bersani continua a votare fiducie su leggi che dice di voler cambiare se andrà al governo.
Il punto è proprio questo: l'indeterminatezza dei comportamenti politici, perché il rimescolamento delle carte non è ancora concluso. Sono pochi, per esempio, quelli che metterebbero la mano sul fuoco su Casini: ha davvero deciso di scegliere il campo del centrosinistra o sta solo tentando di alzare il prezzo con il Pdl? Per non dire del Pd, all'interno del quale ci sono almeno tre linee, quelle che Vendola sintetizza in «quella contro Monti, quella Monti per il dopo Monti e quella dell'oltre Monti». Tanto da pregiudicare pure le primarie. Se le primarie sono «un congresso tra Bersani e Renzi io non ci sto» mette in chiaro Vendola; «Non è che se vince B invece di A cambia il programma» gli fa eco Di Pietro. Insomma, o le primarie sono di coalizione o non sono (ma vallo a dire a Casini, che non ci pensa proprio).
Certo, Bersani risponde a stretto giro e sembra già aver trovato le soluzioni: le primarie, assicura, saranno di coalizione e il Pd presenterà una carta d'intenti; Vendola, in fondo, non è contrario ad allargare la coalizione; Di Pietro è il benvenuto se si impegna a rispettare gli impegni di governo (Vendola dice chiaramente: «Mi siedo a discutere con il Pd solo se c'è anche Antonio Di Pietro»). Ma, appunto, il tutto è di là da venire. E sul tappeto resta l'interrogativo: si potrà mai realizzare una coalizione da Casini a Vendola che si basi sui cinque punti citati dal leader di Sel a mo' di esempio: patrimoniale, reddito minimo, welfare ambientale, parità di genere, coppie di fatto? Difficile crederlo, se lo stesso Vendola insiste che o c'è un avanzamento sul piano dei diritti sociali e civili o «non lo fate il centrosinistra, togliete la parola sinistra dopo il trattino»: «In una coalizione che non riconosce le coppie di fatto, io non mi accomodo nemmeno per prendere un caffè». E se Di Pietro nell'intervista a “Left” di oggi attacca: «Nessuna alleanza con Casini: è il carnefice del centrosinistra».
Intanto, però, il tempo passa e il rischio di questo «tira e molla» (come lo definisce Paolo Ferrero, segretario del Prc) tra Vendola e Di Pietro da una parte e Bersani dall'altra rischia solo di portare acqua al mulino di Grillo. «Propongo a Vendola e Di Pietro di smetterla - dice Ferrero - e di costruire insieme una aggregazione di sinistra da costruirsi con comitati e movimenti sociali, che si candidi al governo del paese su una piattaforma chiaramente antiliberista e di alternativa, come ha fatto Syriza in Grecia». Che poi è esattamente ciò su cui ha insistito Di Pietro, citando il lavoro sui territori e nella società civile, ma soprattutto dicendo che «non possiamo partecipare ad una coalizione che fa pagare i conti ai più deboli e ai più onesti».
Si potrebbe partire già a settembre «con una manifestazione nazionale contro il governo Monti e le sue politiche - propone ancora Ferrero - Perché l'alternativa va costruita da subito e il popolo italiano non ne può più di queste politiche neoliberiste». Una Syriza in Italia: e chissà che a quel punto non sarebbe il Pd a venire con il cappello in mano.

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